Ecco perché gli scienziati minimizzano gli impatti sul clima

La realtà sta superando in peggio le previsioni sugli impatti dei cambiamenti climatici. Altro che allarmismo: la comunità scientifica negli anni passati è stata anche troppo cauta, dicono gli storici della scienza. Intanto una nuova raccolta di dati sul clima da Berkely smonta definitivamente il cosiddetto scandalo “climategate”.

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Sul riscaldamento globale “gli scienziati fanno allarmismo per ricevere più fondi per la ricerca”. L’affermazione è arrivata di recente da Rick Perry, tra i candidati per le presidenziali Usa 2012 quello che sta raccogliendo più finanziamenti dall’industria delle fonti fossili (si veda questo grafico), ma più volte l’abbiamo sentita da altri negazionisti o scettici sulla questione clima.


La verità però è diversa: studi di storia della scienza stanno dimostrando che la comunità scientifica negli anni passati è stata anche troppo cauta nel denunciare gli effetti del global warming, tanto che le previsioni fatte nella gran parte dei casi sono state superate, in peggio, dalla realtà. Lo spiega ad esempio Naomi Oreskes, storica della scienza della University of California, in un articolo pubblicato su Climate Daily. “Stiamo constatando che, lungi dall’aver sopravvalutato il problema o aver fatto dell’allarmismo, gli scienziati sono stati piuttosto conservativi in diverse aree importanti”.


Una decina d’anni fa ad esempio era arrivata la previsione che l’Artico sarebbe rimasto senza ghiaccio nel periodo estivo attorno al 2100. Oggi l’estensione dei ghiacci artici è già ridotta al 70% di quella misurata nel 1979 e alcuni scienziati stimano che il momento in cui l’Artico sarà senza ghiaccio arriverà con un elevato livello di probabilità tra 25 anni e non a fine secolo.


Un’altra previsione rivista recentemente è quella, ottenuta da modelli informatici, sull‘estinzione delle specie animal e vegetali: i cambiamenti climatici – si era stimato – avrebbero portato all’estinzione circa il 7% delle specie vegetali ed animali sulla terra. Uno studio condotto quest’anno all’università di Exeter, a partire dall’osservazione empirica, ha invece concluso che le cose stanno andando peggio: a rischio di estinzione per il global warming è il 15% delle specie. Le specie animali e vegetali, d’altra parte, ha scoperto un altro studio, stanno già reagendo al cambiamento del clima più di quello che si pensava: studiosi dell’Univerisità di York hanno mostrato che le specie vegetali ed animali si stanno spostando due volte più veloci di quanto previsto verso quote più elevate e tre volte più veloce del previsto verso latitudini più fredde.


“Molti nella comunità scientifica – spiega la Oreskes – hanno scelto di essere conservativi nelle previsioni, perché questo preserva la propria credibilità. C’è una distorsione al ribasso che ha portato gli scienziati a sottostimare anziché a sovrastimare gli impatti”. Il processo di peer-review degli studi scientifici d’altra parte tende a scoraggiare interpretazioni audaci dei dati.


Quello che dice la storica della scienza trova conferma in altri studi. Ad esempio, in un lavoro del 2010, William Freudenberg della University of California ha rilevato che le pubblicazioni scientifiche che mostrano le conseguenze del global warming peggiori di quanto ci si aspettava sono 20 volte più numerose di quelle che rilevano impatti meno gravi delle attese.


Interessante la raccomandazione ai media di Freudenberg. Quando la stampa, come spesso è accaduto, ha dato spazio a tesi minoritarie a livello di consenso scientifico, come quelle che negano il riscaldamento globale antropogenico, lo ha sempre fatto con la giustificazione giornalistica di “sentire anche l’altra campana”. Ma, alla luce del volume di evidenze scientifiche sugli impatti esaminate dallo studio, fa notare l’autore, l’unica ‘altra campana’ con una legittimazione scientifica sufficiente è quella che sostiene che gli impatti siano addirittura peggiori di quanto finora accettato dalla comunità scientifica.


Insomma, nessun complotto allarmista da parte degli scienziati, anzi fin troppa cautela. E allora il cosiddetto climategate? Proprio in questi giorni arriva la raccolta di dati probabilmente più completa di sempre sul cambiamento climatico che dovrebbe bastare a smontare – se ce ne fosse bisogno – lo “scandalo”, sollevato nel 2009 da un furto di mail scambiate tra IPCC e University of East Anglia’s Climatic Research Unit, secondo il quale i dati sarebbero stati consapevolmente manipolati per far risultare più gravi del reale gli effetti del global warming.


Sono i nuovi dati del Berkley Earth project: oltre 1,6 miliardi di record di temperature degli ultimi due secoli raccolti da 15 fonti diverse. Dati che coincidono assolutamente con quelli comunicati da altri enti come il National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), Goddard Institute for Space Studies, Met e University of East Anglia. “La nostra più grande sorpresa – commenta Elisabeth Muller, direttrice del Berkley Earth project – è che i nostri risultati collimano totalmente con i valori di riscaldamento pubblicati da altri team negli Usa e in Gran Bretagna. E’ la conferma che questi studi sono stati fatti rigorosamente e che le potenziali distorsioni indicate dagli scettici dei cambiamenti climatici non hanno seriamente intaccato le loro conclusioni”.

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