L’efficienza energetica per chiudere le centrali a carbone

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Chiudere le vecchie centrali a carbone negli Usa e attivare programmi di efficienza energetica darebbe un vantaggio economico netto per la collettività. Anche in Italia, alla costruzione o alla conversione a carbone di impianti come quello di Porto Tolle, va contrapposta una seria politica per l'efficienza energetica. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Le legislazioni ambientali dei prossimi anni obbligheranno a riqualificare negli Usa centrali a carbone per una potenza di circa 40.000 MW. Parliamo di enormi investimenti che si scaricheranno in aumenti in bolletta che potranno arrivare in alcuni Stati fino al 20%. Esistono alternative?


Un recente rapporto statunitense dell’American Council for an Energy Efficient Economy (ACEEE), “Avoiding a train wreck: Replacing Old Coal Plants with Energy Efficiency” (pdf), ha evidenziato che la chiusura delle vecchie centrali e il contemporaneo lancio di programmi di efficienza energetica e di cogenerazione garantirebbe un vantaggio economico netto per la collettività.  Del resto, i programmi di “Demand Side Management” non sono una novità e vengono gestiti dalle compagnie elettriche statunitensi da oltre un ventennio con discreti risultati. Nel 2009 sono stati così risparmiati 78 miliardi di kWh.


E veniamo all’Italia. Ci sono, è noto, progetti per costruire o convertire a carbone diversi impianti, ad iniziare dalla contestata centrale di Porto Tolle sul delta del Po che dovrebbe funzionare a regime con tre gruppi da 660 MW. Queste scelte si devono confrontare con il percorso verso la totale decarbonizzazione della produzione elettrica europea indicato nel rapporto “Roadmap verso un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050” presentato dalla Commissione Europea nel marzo 2011.


Ora, la centrale di Porto Tolle, se venisse riconvertita, funzionerebbe fino al 2060. È vero che un decimo delle 10 milioni di tonnellate di anidride carbonica emesse dovrebbe annualmente essere sottratto e iniettato nel sottosuolo (CCS) grazie ad un progetto finanziato dall’Europa. Ma i costi stimati per la CCS sono molto alti e non competitivi fino al 2030. E d’altra parte non sappiamo quali valori di mercato raggiungeranno le emissioni di anidride carbonica fra 10, 20, 30 anni (30, 50, 100 €/t ?). Dunque, sembra un progetto rischioso ed economicamente problematico sul medio e lungo periodo sia a livello aziendale che su scala nazionale.


Per di più, in Italia la potenza elettrica è decisamente sovradimensionata con 104 GW nel 2010 e previsioni per il 2020 che vanno da 110 a 130 GW. Questo, mentre la richiesta di punta, attualmente pari a 57 GW, secondo Terna dovrebbe raggiungere i 74 GW alla fine del decennio con una capacità di generazione necessaria pari a 90 GW.


Non sarebbe più saggio applicare la strategia dell’ACEEE e lanciare anche in Italia un serio programma di efficienza energetica, sulle linee, ad esempio, del Piano elaborato da Confindustria?

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