Per tagliare le emissioni la Cina tassa le risorse

Il gigante cinese da anni ormai si sta sforzando di far virare verso la sostenibilità la sua crescita. Una sfida per nulla facile: l'intensità di carbonio sul Pil cala e gli obiettivi al 2020 potrebbero essere raggiunti, ma le emissioni totali continuano a crescere. L'ultima mossa è un sistema di tassazione delle risorse tra i più pesanti al mondo.

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Un gigante che cresce e inquina sempre di più, ma che da anni ormai si sta sforzando di far virare verso la sostenibilità la sua crescita economica. Una sfida per nulla facile. L’ultima mossa della Cina per imbrigliare un’economia che inghiotte sempre più risorse e produce sempre più emissioni passa per il fisco. Sarà infatti il governo di Pechino a imporre una delle tasse ambientali più pesanti al mondo. Dal primo novembre in tutta la Cina verranno introdotte nuove tasse su carbone e metalli rari e saranno estese a tutta la nazione quelle già in vigore in 11 province su gas e petrolio, ha dichiarato questa settimana il Consiglio di Stato.


Su gas e petrolio arriveranno imposte del 5-10%, il carbone verrà tassato dagli 8 ai 20 yuan (0,9-2,3 euro) a tonnellata e un’imposta dagli 0.20 agli 0,60 yuan (0.04-0.07 euro) a tonnellata andrà a pesare sui metalli rari (detti anche terre rare), risorsa strategica per molte industrie, come quella delle batterie, e di cui la Cina controlla, gelosamente, gran parte delle riserve mondiali. Anche le attività estrattive di gas e petrolio verranno tassate in modo diverso: il sistema delle royalties sarà sostituito da un’imposta sulla risorsa.


I soldi raccolti con le nuove imposte dovrebbero servire a dare una spinta allo sviluppo delle province più arretrate. Una grossa fetta andrà a progetti “low carbon”, come parchi eolici, infrastrutture ferroviarie ad alta velocità e anche nuove centrali nucleari.


Ci sarà un certo impatto della nuova tassazione sulle industrie ad alta intensità energetica che non si saranno adattate in tempo: gli analisti prevedono che con le nuove imposte le maggiori aziende energetiche cinesi, come PetroChina e Sinopec, tocchino il minimo in fatto di profitti.


E’ chiaro il senso di queste misure, annunciato dal governo: proteggere le risorse e limitare il danno ambientale. Ma anche per raggiungere gli obiettivi in materia fissati nell’ultimo piano quinquennale: a marzo Pechino aveva tra l’altro ufficializzato l’obiettivo di ridurre del 17% entro il 2015 la propria intensità di carbonio, ossia le emissioni di CO2 per ogni punto di Pil. Per farlo il premier aveva annunciato una politica di contenimento della crescita, che stabilizzasse il tasso di aumento del Pil al 7% annuo. A Cancun, invece, la Cina aveva annunciato di voler ridurre l’intensità di carbonio del 40-45% entro il 2020.


A preoccupare Pechino, oltre la questione climatica, un inquinamento che sta già causando seri danni ambientali, sociali e sanitari. Diverse le misure che si stanno prendendo per diminuire gli impatti della crescita economica. Ad esempio gli incentivi alle rinnovabili e alle relative filiere industriali, la promozione dell’auto elettrica e – ancora all’orizzonte per ora – un meccanismo di emission trading regionale. Sempre nell’ultimo piano quinquennale è stata annunciata l’intenzione di installare nel paese (in forte deficit di energia e che conta sul carbone per quasi il 70% del fabbisogno elettrico) 235 GW di potenza elettrica da fonti non fossili (40 GW da nucleare, 120 da idroelettrico, più di 70 da eolico e 5 GW da solare).


Riuscirà il gigante asiatico nella sua impresa di crescere senza rimanere schiacciato dal suo stesso peso ambientale? Due studi appena pubblicati sono utili per vedere se lo sforzo cinese in termini di emissioni sta funzionando. Il primo, realizzato dall’Ong Climate Action Tracker (vedi allegato), analizza le politiche cinesi e le mette a confronto con quelle di altre nazioni. Conclusioni: la Cina che sta facendo molto più degli altri – specie degli Usa, criticati per l’assenza di azione – raggiungerà e supererà gli obiettivi sull’intensità del carbonio che si è data per il 2020, ma, a causa della crescita economica, ha emissioni totali che stanno crescendo più veloci del previsto di almeno un miliardo di tonnellate di CO2 all’anno (una cifra rilevante se si considera che per avere buone probabilità di rimanere sotto ai 2°C di aumento della temperatura, le emissioni mondiali nel 2020 dovrebbero essere inferiori di 44 miliardi di CO2 equivalente all’anno).


Il secondo studio – “A Carbonizing Dragon: China’s Fast Growing CO2 Emissions Revisited” (scaricabile qui, a pagamento) – mette l’accento sul cambiamento nell’economia cinese che rende più difficile ridurre le emissioni. Negli ultimi anni sulle emissioni cinesi pesa meno la produzione industriale per l’export (21-31% delle emissioni) e la generazione elettrica (30%) e di più lo sviluppo interno che si concretizza soprattutto in edilizia e infrastrutture: la produzione di cemento pesa per il 46% delle emissioni del paese e quella siderurgica per il 20%. E’ anche in questi settori, oltre che in quello della generazione elettrica, suggerisce lo studio, che Pechino dovrebbe migliorare la sostenibilità.


(credit foto Ju.X via Flickr)

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