No agli aiuti alle tecnologie low carbon? Un boomerang economico

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Non sostenere le nuove tecnologie low-carbon è un boomerang: sul lungo periodo fa spendere molto di più per la difesa del clima. Lo dice un nuovo studio del Potsdam Institute. La via più efficace per ridurre le emissioni è attuare programmi di supporto a determinate tecnologie abbinati a un sistema di emission trading.

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Nella corsa al taglio della spesa pubblica, cercare di risparmiare sul supporto a innovazione low-carbon e tecnologie emergenti significa darsi la zappa sui piedi: sul lungo periodo porta a spendere molto di più per la difesa del clima. Lo dice, con parole diverse ma altrettanto chiare, uno studio appena pubblicato dal Potsdam Institute for Climate Impact Research (vedi allegato). La via più economicamente efficace per ridurre le emissioni – conclude il report – è con programmi di supporto a determinate tecnologie abbinati ad un sistema di emission trading.


Nello studio in questione per la prima volta si calcolano costi e benefici del sostegno alle nuove tecnologie verdi e lo si fa usando un complesso modello che ipotizza uno scenario esteso per tutto il 2011, e simula le interrelazioni tra i comportamenti dei consumatori, delle aziende, dei mercati e le varie politiche di contenimento delle emissioni. La conclusione è, appunto, che economizzare sul fronte degli aiuti alle nuove tecnologie verdi è economicamente controproducente.


Senza l’aiuto del pubblico, infatti, le nuove tecnologie energetiche, nonostante un alto potenziale di riduzione dei costi, difficilmente riuscirebbero mai ad avere successo. Troppo alte le barriere all’ingresso: i privati non si farebbero carico dei rischi di un eventuale fallimento, e così tecnologie potenzialmente rivoluzionarie sarebbero destinate a non dare mai i loro frutti.


“Le compagnie energetiche spesso si affidano a tecnologie familiari, anziché puntare all’innovazione, sono molto più esitanti che le aziende si altri settori, come si vede dalla nostra analisi”, spiega Matthias Kalkuhl, autore principale dello studio. Un comportamento dietro il quale non c’è solo un generico conservatorismo: i pionieri, in questo settore, pagano il conto in termini di ricerca, sviluppo e rischio, mentre le innovazioni portano benefici a tutti, anche ai competitors, che le copiano. Inoltre nel settore low-carbon c’è una forte incertezza riguardo alla profittabilità sul lungo termine delle varie nuove tecnologie, essendo il quadro politico inaffidabile: ad esempio negli Usa non sanno ancora se un domani avranno un prezzo della CO2 e quanto alto sarà.


“Il risultato è un effetto di lock-in che si auto-rafforza”, continua Kalkuhl:  tecnologie meno evolute e più costose continuano a dominare il mercato per decenni. Dal punto di vista del management dell’azienda è un comportamento razionale. Ma economicamente è fatale”. Il problema, si spiega, sta nell’omogeneità del prodotto venduto. A differenza che in altri settori, come ad esempio la telefonia, quando si compra elettricità o calore dal punto di vista del consumatore la tecnologia non fa grande differenza e dunque non si può trasferire su questi il costo dell’innovazione.


Essenziali dunque le politiche di supporto. Secondo il modello usato al Potsdam Institute, gli strumenti più efficaci sono tariffe feed-in oppure quote riservate per l’energia prodotta con le tecnologie da promuovere. Attenzione però: solo gli aiuti alle tecnologie emergenti sono economicamente convenienti, gli esempi fatti parlano di eolico off-shore, biomasse, solare. In questi casi e limitando l’aiuto a un periodo di tempo, il rapporto costi benefici è assolutamente positivo. Diverso il discorso nel caso di altre tecnologie che, pur essendo low-carbon, sono già affermate – ad esempio l’idroelettrico, il nucleare o le centrali a gas più efficienti – in questo caso eventuali meccanismi di supporto diventano economicamente sconvenienti.


Altra raccomandazione che emerge dallo studio: le misure di sostegno alle nuove tecnologie non devono essere alternatitive a bensì accompagnate da un meccanismo di emission trading. “Abbiamo scoperto che, anche se è possibile ridurre le emissioni anche con il solo emission trading, farlo costerebbe di più (rispetto all’ETS abbinato al supporto a determinate tecnologie, ndr)”, spiega Ottmar Edenhofer, altro co-autore.


Effetti, quelli scoperti dallo studio, che diventano evidenti solo guardando ad un orizzonte temporale di diverse decadi, cosa che gli altri studi finora non avevano fatto. “Ma le politiche per il clima sono progetti a lungo termine”, commenta Edenhofer. Lo stesso governo non sa meglio delle aziende quali tecnologie avranno un futuro, ma, proprio data questa incertezza, è l’unico player che può permettersi di finanziare le innovazioni. In ogni modo senza un sistema di emission trading abbinato ad obiettivi di riduzione, anche il miglior supporto economico alle tecnologie rischia di essere relativamente inutile: “combattere il cambiamento climatico con i soli sussidi semplicemente non è fattibile”.

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