Quel negazionismo climatico che frena l’America

La porzione della popolazione americana che non crede ai cambiamenti climatici è ancora consistente e condiziona la politica. I conservatori del partito Repubblicano sono tra i più accessi scettici del global waming. Mentre il mondo della scienza scende in piazza per dire che urge prendere provvedimenti, la politica fa pochissimo.

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Può sembrare difficile da credere, ma in America il climate change è ancora una questione aperta ed esiste chi si ostina a negare i risultati scientifici confermati da migliaia di studiosi in tutto il mondo.


Dopo il cosiddetto climate gate le voci di chi, a tutti i costi, vorrebbe sostenere che le attività umane non sono responsabili del riscaldamento globale, si sono rinvigorite. Con il successo crescente del Tea Party, l’ala radicale della destra conservatrice, la tendenza si è ulteriormente estremizzata. Secondo un recente sondaggio meno del 49% dei Repubblicani e solo il 41% di coloro che si identificano come membri del Tea Party, crede che la Terra si stia riscaldando (tra i democratici sono l’81%). Tra questi solo il 18% ritiene che la causa sia antropica. Tra i membri del Tea Party, inoltre, il 33% dice che supporterebbe maggiormente un candidato alla presidenza che non creda nei cambiamenti climatici.


L’uomo di punta dei Repubblicani, il governatore del Texas, Rick Perry, attualmente il favorito tra i possibili candidati della destra alle prossime elezioni presidenziali, ha dichiarato di non credere nella scienza dei cambiamenti climatici: “Esiste un sostanzioso numero di scienziati che ha manipolato i dati in modo da ottenere fondi per i propri progetti”, ha detto Perry in agosto, in occasione di un incontro con gli imprenditori. Secondo il governatore del Texas, la scienza sta quotidianamente continuando a mettere in dubbio che sia davvero l’azione dell’uomo a causare il riscaldamento globale, mentre ci nasconde il fatto che, fin dalle origini del Pianeta, il clima cambia costantemente per cause naturali.  


Ancora più netta la posizione di Michele Bachmann, altra concorrente per la posizione di candidato presidenziale dei Repubblicani. Secondo Bachmann, che sta ingaggiando una battaglia personale contro  l’Environmental Protection Agency (EPA), la scienza del clima sarebbe una cospirazione, un complotto, una teoria fabbricata ad hoc.


Nel corso del lancio della settima conferenza annuale della Clinton Global Initiative, l’ex presidente Bill Clinton ha osservato che questi conservatori, con il loro scetticismo climatico, fanno apparire l’America come una barzelletta. Clinton, sottolineando che gli Stati Uniti hanno bisogno di aprire un dibattito bipartisan sulle possibili soluzioni per ridurre i gas serra ha detto: “Come americani la cosa migliore che si può fare è rendere politicamente inaccettabile il contributo delle persone al negazionismo sui cambiamenti climatici. Gli americani possono spingere verso il cambiamento rifiutandosi di dare il proprio voto agli scettici del climate change”.  


Esiste anche una parte dell’America politica che, pur non negando che il riscaldamento globale stia avvenendo, cerca di sminuire il contributo delle attività umane al fenomeno. Tra questi Mitt Romney, altro favorito della destra, che si è dichiarato dubbioso rispetto alla causa dei cambiamenti climatici. Campione di questa teoria è il visconte Christopher Monckton, uno dei protagonisti dell’attacco alla scienza seguito allo scandalo delle email che, nell’autunno del 2009, diede vita al climate gate. Secondo Monckton le cause antropogeniche del global warming sarebbero ampiamente sopravvalutate. I suoi errori grossolani nella presentazione dei dati scientifici, tuttavia, lo hanno screditato. 


Infine, c’è quella parte del mondo politico americano che oggi avrebbe il potere di cambiare le cose ma che, pur non negando i cambiamenti climatici, non sta facendo niente. Con un Congresso in balìa del sistema delle lobby e sotto il ricatto della crisi economica, neppure il governo sembra troppo deciso a prendere posizione su questi temi.


Della questione ha parlato James Hansen, direttore del Nasa Goddard Institute di New York, nel corso di una conferenza che si è tenuta la scorsa settimana all’università di Bergen, nel New Jersey.


Il noto climatologo, che non nasconde la delusione nei confronti del presidente Obama, responsabile di non essere riuscito a trasformare il ruolo degli Usa nel panorama delle politiche internazionali per il clima, ha raccontato come è nata la sua decisione di iniziare a fare discorsi pubblici, attivismo e pressioni sul governo, sulla questione dei cambiamenti climatici: “Quando sono diventato nonno i miei nipoti mi hanno in qualche modo portato a cercare di spiegare cosa stava succedendo, perché diventava sempre più chiara l’esistenza di un gap tra quello che era scientificamente evidente e la politica che non faceva nulla in proposito, nonostante ci fosse una gran quantità di scienziati che diceva che qualcosa andava fatto”.


Hansen, che nel 2006 Time Magazine ha annoverato tra le cento persone più influenti al mondo, ha ricordato quanto gli interessi economici siano determinanti nelle prese di posizione di quella parte di Stati Uniti che, dentro e fuori il Congresso, continua sistematicamente a mettere in cattiva luce la scienza climatica.


“Potremmo risolvere il problema se nei prossimi venti anni uscissimo dal carbone e lasciassimo le fonti fossili non convenzionali, come le sabbie bituminose e il gas di scisto, sotto terra. Ma questo non sta avvenendo. Quello che invece avviene è che stiamo continuando a costruire centrali alimentate a combustibili fossili in tutto il mondo e allo stesso tempo iniziamo a sfruttare le fonti fossili non convenzionali”, ha detto lo scienziato che in agosto si è fatto arrestare durante una manifestazione alla Casa bianca contro la costruzione dell’oleodotto Keystone XL (Qualenergia.it,  Tar sands canadesi, Obama e gli equilibri energetici globali).


 “Non abbiamo leader impegnati a spiegare all’opinione pubblica come stanno le cose” ha detto ancora Hansen, sottolineando come molti politici hanno semplicemente imparato a recitare formule di circostanza che non sono altro che green washing. “Ma chi fa soldi con le fonti fossili non consentirà mai al pubblico di capire. Non puoi accendere la televisione senza vedere pubblicità che parlano di estrazione pulita di sabbie bituminose e di tutti i posti di lavoro che queste attività dovrebbero creare. Quando la verità è che si creerebbe più lavoro e di migliore qualità sviluppando le energie pulite”.


Secondo Hansen, la soluzione starebbe nell’assegnare un prezzo alle emissioni di CO2, da far ricadere sulle aziende. Soltanto così, a suo avviso, si renderebbero meno convenienti i combustibili fossili e di conseguenza più competitive le altre fonti energetiche.

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