La crisi economica e la transizione energetica verso le fonti rinnovabili da poco iniziate hanno solo scalfito superficialmente il trend delle emissioni mondiali. Dopo la flessione temporanea del 2009 (-1%) la produzione di gas serra ha ripreso a ritmi da record: +5,8% nel 2010. In testa i giganti emergenti Cina e India, che lo scorso anno hanno emesso rispettivamente il 10 e il 9%. Dal 1990 al 2010 le emissioni mondiali sono cresciute del 45%, raggiungendo quota 33 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente.
Sono un appello ad agire con più decisione i dati presentati nell’ultimo rapporto commissionato dal Joint Research Centre della Commisione europea (vedi allegato).
Timide le riduzioni nei paesi impegnati in prima linea. Ad esempio l’Italia – aiutata anche da crisi economica e progressiva deindustrializzazione – in vent’anni ha tagliato la CO2 solo del 3%: troppo poco per centrare il traguardo del protocollo di Kyoto, -6,5% entro il 2012 e molto distante anche dall’obiettivo europeo del -20% al 2020.
Nel complesso i paesi industrializzati che hanno sottoscritto Kyoto, aiutati anche dal crollo del blocco sovietico, ce la faranno a raggiungere l’obiettivo del 2012 (-5,2% rispetto al 1990), dato che sono già a –7,5%. Ma il contributo è venuto soprattutto da Europa (-7% dal 1990) e Russia (-28%), mentre negli Usa le emissioni hanno continuato a salire (+5%) e in Giappone sono rimaste stabili.
Il problema sono i paesi emergenti che in questi 20 anni hanno visto crescere le loro emissioni con percentuali a due-tre cifre: dal +257% della Cina al +39% del Messico (tra gli emergenti il paese in cui sono cresciute meno).
Cambia il discorso se si guarda alle emissioni pro-capite: gli statunitensi emettono ancora 16,9 tonnellate di CO2 a testa all’anno, l’Europa 8,1, i cinesi 6,8 e gli indiani meno di 2.