L’Australia e l’UE verso un mercato mondiale della CO2

L'Australia vuole creare un sistema di emission trading. La premier Gillard ha incontrato il presidente della Commissione europea Barroso per parlare di una possibile futura connessione del venturo ETS australiano con quello europeo. Sarebbe un un passo in avanti verso un mercato mondiale della CO2, ma i problemi da superare sono diversi.

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Un timido passo in avanti verso un mercato mondiale della CO2, anche se la meta purtroppo resta ancora troppo distante. Stiamo parlando dei negoziati dell’Unione Europea con l’Australia per connettere l’ETS europeo con il nascituro schema australiano, trattative iniziate ieri con l’incontro tra la premier australiana Julia Gillard e il presidente della Commissione Manuel Barroso. Se tutto andrà bene i due mercati in futuro potranno essere interconnessi, cosa che porterà vantaggi ad entrambi. Anche se secondo gli esperti l’operazione non sarà affatto rapida e semplice.


L’Australia – il paese con le più alte emissioni pro-capite al mondo e con una fortissima dipendenza dal carbone (80% del fabbisogno elettrico) – ha deciso di muoversi per creare un mercato nazionale della CO2: da luglio 2012 – sempre che il Parlamento australiano quest’autunno dia la sua approvazione – introdurrà a carico dei 500 più grandi emettitori una tassa sulla CO2 di 23 dollari australiani a tonnellata (pari a 24,2 dollari USA e a 17,2 euro). Nei due anni successivi la tassa sarà innalzata del 2,5% l’anno e dal 2015 darà vita ad un vero e proprio emission trading scheme sul modello di quello europeo


Le dichiarazioni uscite dall’incontro tra Barroso e la Gillard sono ottimistiche: il primo ha parlato di “forte interesse reciproco” ad espandere e interconnettere i mercati della CO2, la premier australiana ha detto che “l’Australia è desiderosa di lavorare con l’Europa sulla carbon tax” e che spingerà durante gli incontri internazionali per la creazione di un mercato mondiale della CO2. Ma il cammino dell’ETS australiano non sarà facile e non lo sarà nemmeno la futura interconnessione tra i due mercati.


Sul fronte interno infatti il programma della Gillard è fortemente contrastato. La premier laburista, in una coalizione numericamente debole con Verdi e indipendenti, deve scontrarsi con l’opposizione liberal, con gli interessi della influente industria mineraria nazionale e del settore dei trasporti. Tra i più temibili avversari c’è poi anche Rupert Murdoch, l’australiano patron della Fox, che dai suoi media sta scatenando una vera e propria campagna contro la carbon tax (campagna per reagire alla quale è partita anche una raccolta di firme internazionale). La resa dei conti sarà in autunno, quando a Canberra il Parlamento voterà sulla questione: da ricordare che già il governo precedente aveva dovuto accantonare l’idea.


Quando e se l’ETS australiano sarà operativo, poi, la connessione con quello Europeo non sarà affatto semplice. Diversi i problemi che gli analisti specializzati, come Point Carbon, sollevano. Ad esempio le regole per accedere ai meccanismi di compensazione (interventi che permettono di ottenere crediti da spendere sul mercato della CO2) sono diversi tra l’ETS europeo e quello australiano (dove ci sono meno restrizioni); difficoltà potrebbero essere create poi dai tassi di cambio instabili tra le valute dei due mercati (Euro e Dollaro australiano). Dubbi suscita anche il modo in cui è stabilito il prezzo della tonnellata di CO2 australiana: il prezzo dei 23 dollari, ossia 17,2 euro, è sensibilmente più alto dell’attuale prezzo sul mercato europeo (circa 12,4 euro al momento), questo prezzo sarà fisso per i primi due anni, ma dal 2015 sarà stabilito dal mercato, salvo avere un “pavimento” a 15 dollari e un “soffitto” a 20. Un meccanismo che secondo gli analisti non è compatibile con quello di mercato con cui si fissa il prezzo della CO2 nell’ETS europeo.


Insomma gli ostacoli alla connessione dei due mercati sono vari e lo stesso futuro dell’ETS australiano non è affatto certo. Difficilmente secondo Point Carbon si arriverà ad uno scambio tra i due sistemi prima del 2018, se questo avvenisse però sarebbe certamente una ventata d’aria buona per l’ETS europeo, che in questi anni ha dovuto fare i conti con vari problemi come le frodi, l’eccesso di permessi gratuiti i crediti “inquinanti” come quelli derivati dalla distruzione dell’hfc-23 e – soprattutto – l’isolamento.


Al momento le nazioni, al di fuori dell’EU-ETS, che hanno istituito dei mercati della CO2 sono ancora poche: per citarne alcune, la Nuova Zelanda ne ha uno, la Svizzera è in trattativa per entrare nel mercato europeo, la California e altri Stati Usa stanno avviando i loro, mentre la Cina ha di recente annunciato di voler far partire un proprio ETS dal 2014.

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