Il soccorso della manovra al carbone di Porto Tolle

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Con la manovra arriva anche una norma per permettere la controversa riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle in Veneto. Con due commi il Governo tenta di aggirare la sentenza del Consiglio di Stato di due mesi fa, che bocciava il progetto. Insorgono le associazioni ambientaliste che denunciano “l'obbrobrio giuridico”.

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Con la manovra arriva anche una norma per permettere la controversa riconversione da olio a carbone della centrale di Porto Tolle, sul Delta del Po. La mossa “salva centrale” è nei commi 8 e 9 dell’articolo 35 della Finanziaria, che modificano la legge Incentivi del 2009, eliminando l’obbligatorietà delle comparazioni tra gas e carbone a patto che si dimezzi l’inquinamento dell’aria. Quella stessa comparazione in base alla quale il Consiglio di Stato due mesi fa aveva bloccato il progetto, accogliendo il ricorso di varie associazioni e dichiarando illegittimo il decreto con cui nel 2009 il ministero dell’Ambiente aveva dato parere positivo al progetto.


Il Consiglio di Stato aveva anche di fatto stabilito che la norma decisiva restava la legge regionale del 1997 che istituiva il Parco del Delta, prevedendo all’articolo 30 solo centrali a metano. Con la nuova norma, ora, di fatto – come racconta il Corriere del Veneto – “si crea una manovra a tenaglia tra Governo e Regione, per risolvere l’impasse e blindare il progetto: a Venezia il Consiglio regionale sta modificando l’ostacolo principale, l’articolo 30 della legge sul Parco; dall’altro lato la manovra, anche a legge regionale modificata, dovrebbe impedire nuovi potenziali ricorsi, che invocassero comunque la sentenza del Consiglio di Stato sulla norma nazionale.”


Insomma, la centrale per il governo si deve fare a ogni costo, come d’altra parte era emerso dalle dichiarazioni del ministro Romani. Insorgono per i due commi studiati ad hoc per Porto Tolle le associazioni ambientaliste che hanno portato avanti la battaglia contro la conversione a carbone  – Greenpeace, Legambiente, WWF e Italia Nostra. Ieri si sono rivolte al Presidente della Repubblica affinché prendesse urgenti provvedimenti “per impedire che il Governo aggiri una sentenza scomoda sostituendosi ai giudici che hanno già sentenziato sulla incompatibilità ambientale del carbone.”


“Il tentativo del Governo di inserire nell’articolo 35 della Finanziaria una norma che favorisce lo smantellamento di centrali alimentate ad olio per trasformarle a carbone – scrivono –  è un perfetto esempio di legge “ad aziendam”. Con questa, non solo si ignora la sentenza del Consiglio di Stato sulla valutazione di impatto ambientale, ma si decide deliberatamente di ignorare – per fare l’interesse dell’ENEL – l’impatto ambientale e sanitario di una centrale a carbone nel cuore di una delle aree più fragili e a rischio del Paese.


La norma cerca di cancellare la sentenza del Consiglio di Stato e la disposizione di confrontare il progetto a carbone con scenari alternativi, quale l’utilizzo del gas naturale o l’alternativa “zero”, cioè non costruire nulla. Si tratta di un vero e proprio “obbrobrio giuridico” in quanto tale confronto costituisce uno dei contenuti necessari e obbligatori della procedura di Valutazione d’Impatto Ambientale prevista dalle norme europee e confermata dalla Corte di Giustizia europea.


La conversione a carbone della centrale di Porto Tolle comporterebbe l’emissione di oltre 10 milioni di tonnellate annue di anidride carbonica (CO2), il principale responsabile del riscaldamento globale; nonché la movimentazione, in un parco naturale già fragilissimo, di 5 milioni di tonnellate di carbone all’anno e di un altro milione di tonnellate tra calcare, gessi e ceneri. Tutto questo per salvare meno di 200 posti di lavoro che potrebbero essere assorbiti da un equivalente impianto a gas naturale, ipotesi più razionale visto che accanto al sito della centrale è stato costruito il più importante terminale gasifero off-shore.


I rischi posti dalla conversione a carbone sono quindi evidenti, senza contare che il carbone è tra i fattori che ritardano il lancio, in Italia, di una seria politica di investimenti sulle rinnovabili e l’efficienza che secondo numerose stime (nazionali, internazionali e sindacali) porterebbe nel nostro Paese migliaia di posti di lavoro in più di quelli che si guadagnerebbero con questi pericolosi progetti di riconversione.”


Le associazioni hanno chiesto al Presidente Napolitano di non firmare il decreto.

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