Come vanno i tanti mercati delle biomasse in Italia?

L'incenerimento dei rifiuti alla prova dell'abbandono del Cip6, gli olii vegetali, quasi tutti d'importazione, vanno al galoppo. Bene il biogas agricolo e zootecnico, nei biocarburanti cresce il consumo ma non la produzione. La fotografia del variegato settore nel Biomass Energy Report dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano.

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Dalla legna, agli olii vegetali, al biogas, passando per l’incenerimento dei rifiuti e i biocarburanti. Quello delle biomasse è un mondo vasto e variegato. La fotografia più aggiornata della realtà italiana di questi settori è quella scattata con la 2° edizione del Biomass Energy Report, la pubblicazione annuale dell’Energy & Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano (vedi link in basso). Presentata in questi giorni.

Si spiega come il 2010 sia stato un anno “particolarmente travagliato”, con alcuni comparti praticamente “fermi” se non in arretramento – ad esempio i biocarburanti – mentre  altri – ad esempio biogas e olii vegetali – sono in fortissima espansione. Dinnanzi un futuro che si preannuncia movimentato anche a causa delle novità introdotte dal cosiddetto Decreto Rinnovabili: il sistema della tariffa omnicomprensiva sulla produzione di elettricità da queste fonti verrà esteso a tutti gli impianti fino a 5 MW di potenza (attualmente è riservato a quelli sotto il MW) e per quelli di taglie più grandi dal 2015 verrà istituito un meccanismo basato su aste al ribasso, tutto ancora da definire. Per quel che riguarda la produzione di calore e raffrescamento è atteso per il 2012 una sorta di conto energia per le rinnovabili termiche e una riforma del meccanismo dei certificati bianchi.

Ma vediamo come sono andati i vari settori della biomassa nel 2010. Le biomasse agroforestali hanno fornito 5,6 Mtep di energia, circa il 2,9% del fabbisogno energetico totale del Paese,  +7% rispetto al 2009. La potenza complessiva installata è di 8.140 MW termici e 550 MW elettrici. Il 70% della potenza installata è riconducibile a impianti superiori al megawatt, attualmente incentivati tramite il meccanismo dei certificati verdi. Oltre 2,1 miliardi di euro il giro d’affari del settore, cresciuto di oltre il 15% anno su anno. Dati – ricordiamo noi – la cui entità reale resta difficile da valutare dato il grande peso del sommerso, specie negli usi termici: si stima (fonte Anfuss) che circa il 70% della legna usata in Italia sia venduta in nero e che per l’installazione di stufe e caldaie l’illegalità arrivi al 50-60% (Qualenergia.it, Le proposte della filiera italiana dell’energia dal legno).

Settore in forte espansione è quello del biogas. A inizio 2011 più di 500 impianti per una potenza di oltre 550 MWe e una produzione annua di circa 2,9 TWh, che ci pone al 3° posto in Europa dopo la Germania (12 TWh) e il Regno Unito (con oltre 7 TWh, che però costituiscono il 31% del totale di produzione di elettricità da fonti rinnovabili). La potenza installata in Italia nel corso del 2010 è cresciuta del 20% rispetto all’anno precedente e il numero degli impianti del 13%. Il volume d’affari è stimabile in oltre 900 milioni di euro: +60% rispetto al 2009, crescita pressoché interamente da attribuire al biogas agricolo e zootecnico (80% dell’installato); la potenza installata in impianti da discarica è rimasta costante, un segno evidente della saturazione ormai raggiunta in questo segmento di mercato. Ottimistiche le aspettative: a fine del 2012, secondo il report, si potrebbe arrivare a quasi 800 MW.

Impianti a biomasse sono poi considerati anche gli inceneritori di rifiuti. Il settore, fa notare il report, sta subendo uno scossone a causa delle modifiche normative: in particolare le scadenze per abbandonare il meccanismo incentivante del Cip 6 e accedere a quello dei certificati verdi. Nel 2010 sono stati costretti ad abbandonare il vecchio incentivo sei impianti, per un totale di oltre 677mila tonnellate di rifiuti trattati (circa il 10% del totale italiano). Entro il 2012 dovranno rinunciare al Cip 6 altri impianti per quasi 2 milioni di tonnellate di rifiuti (il 30% circa del totale). Il punto critico è che una volta privati del vecchio incentivo, per accedere a quello dei certificati verdi gli inceneritori dovranno ottenere dal GSE la nuova qualifica di Impianto Alimentato a Fonti Rinnovabili e perchè ciò accada in molti casi si dovrà investire investire in tecnologie meno impattanti (modifiche alle griglie, ai forni, alla turbina) oppure sfruttare meglio l’energia termica, tramite reti di teleriscaldamento. Strada quest’ultima resa interessante dalla creazione di un fondo ad hoc per circa 22,5 milioni di euro l’anno previsto nel Decreto Rinnovabili.

Altre ancora le fonti dalla dubbia sostenibilità ambientale fanno parte dell’universo biomasse. Ad esempio gli olii vegetali che in Italia, sottolinea lo studio, sono per la maggior parte importati da paesi della fascia subtropicale (palma da olio e jatropha). Tra le biomasse è la fonte che è cresciuta di più: a fine 2010 erano oltre 620 MWe complessivamente installati, +60% rispetto al 2009, e nel corso dei primi mesi del 2011 la crescita delle installazioni è proseguita in modo consistente (100 MWe era la nuova potenza installata all’inizio di giugno).

Altra fonte discussa e fortemente basata sull’import, i biocarburanti. La capacità produttiva italiana (che è la terza in Europa) è rimasta costante per quel che riguarda il biodiesel (95% della produzione) mentre è crollata per quel che riguarda l’etanolo. Si sono prodotte in totale circa 700.000 tonnellate, mentre i consumi sono quasi raddoppiati, passando da 740.000 tonnellate del 2008 a oltre 1,32 milioni di tonnellate nel 2010. Sempre più si conta sull’import: nel 2008 si importava il 29% del totale immesso in rete, nel 2009 il 36% e nel 2010 si è arrivati al 51%, e infine nel 2011 secondo gli operatori si toccherà il 70%. Le imprese italiane – fa notare lo studio – sono sostanzialmente “ferme” (e quindi accumulano ritardo rispetto ai competitor europei) e per certi versi incapaci di cogliere il potenziale che anche il bioetanolo può esprimere. Questo, ovviamente, se si escludono i progetti sulla “seconda generazione”, che ad oggi paiono essere le uniche possibilità concrete per il rilancio dell’industria italiana dei biocarburanti.

 

Il report è scaricabile a questo link, previa registrazione gratuita

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