Cosa frena il decollo del minieolico in Italia

CATEGORIE:

Nonostante una tariffa incentivante generosa, il minieolico in Italia stenta a decollare: solo poche migliaia gli impianti. Molti i fattori che frenano il settore: dai costi delle rilevazioni anemometriche al fatto che la tecnologia è ancora relativamente sconosciuta e poco regolamentata. Qualenergia.it ne parla con alcuni esperti.

ADV
image_pdfimage_print

Il minieolico è un settore che promette bene, ma che ancora non decolla. Nonostante una complessiva crescita delle energie rinnovabili in Italia, l’eolico italiano subisce una battuta d’arresto. E nel quadro complessivo rappresentato a fine aprile dalla World Wind Energy Association e confermato dall’ANEV, che vede i dati delle installazioni del primo trimestre 2011 bassissimi, gli impianti più piccoli rappresentano l’anello più debole. Per il cosiddetto minieolico, convenzionalmente costituito da mini generatori eolici di potenza compresa tra 1 kW e 200 kW, è prevista la “tariffa omnicomprensiva”, dell’incentivo e del ricavo da vendita dell’energia, che permette un guadagno di 30 centesimi a kWh prodotto e immesso in rete.

Eppure nonostante le agevolazioni, in Italia gli impianti di minieolico attivi sono solo alcune migliaia. “Ma potrebbero essere centinaia di migliaia”, ci spiega Lorenzo Battisti, dell’Università di Trento per cui coordina i lavori del campo eolico sperimentale e dove vengono monitorati più di 500 modelli di turbine eoliche presenti nel mercato.

Secondo Battisti, i motivi del ritardo della diffusione del minieolico sono essenzialmente due. Il primo consiste in un costo molto elevato della rilevazione anemometrica di un luogo. “Quando si costruiscono campi eolici di grandi dimensioni, – spiega Battisti – gli investimenti per le rilevazioni sono proporzionali. Si investono dai 10 ai 50mila euro, che sono una frazione accettabile del costo complessivo. Ad esempio, se Enel inizia un’attività di scouting per verificare i siti più ventosi, anche se 2 o 3 non risultano soddisfacenti, i costi per il rilevamento vengono ampiamente ammortizzati dal guadagno complessivo”.  Il discorso è completamente diverso con il minieolico. Una rilevazione anemometrica può costare dai 3 ai 15mila euro, comprensiva di analisi dei dati, per installare una turbina che ne costa oltre 50mila euro per grandezze attorno ai 20 kW. E l’investimento si ripaga con tempi dai 6 ai 15 anni, anche se dipende molto da diversi fattori. L’esperto dell’Università di Trento riflette: “Il singolo ci pensa due volte a spendere 5-10mila euro per sapere poi magari che la sua minipala non renderebbe abbastanza, perché il sito non è abbastanza ventoso”.

Secondo Lorenzo Battisti, poi, “un’altra barriera importante è la mancanza di certificazione delle macchine. Ci sono in circolazione alcuni buoni prodotti di cui sono riconosciute le prestazioni e molti altri prodotti che non rispettano quello che il catalogo del produttore afferma”. In Gran Bretagna esiste una certificazione del genere. In Italia il certificato lo hanno solo le macchine sopra i 200 kW. Battisti aggiunge: “Bisognerebbe chiedere al governo perché nel campo dei moduli fotovoltaici non si può fare un contratto di vendita se l’impianto non è certificato dal punto di vista energetico, e allo stesso tempo questa regola non esiste per il minieolico”. Probabilmente perché – spiega – essendo il mercato ancora marginale, non c’è stata finora la spinta a normare fino in fondo il settore.

Pietro Lecce, presidente della Jonica Impianti di Taranto, società che lavora con il minieolico, adduce tra i motivi del rallentamento altre cause: “C’è un problema legato alla conoscenza del comparto minieolico, che a volte rallenta anche l’attività delle banche. Ad esempio, quando venne pubblicato il decreto in cui si prevedeva la decurtazione dei fondi per le energie rinnovabili, credendo erroneamente che anche il minieolico fosse coinvolto, si è perso tempo nell’avvio di nuovi impianti. La cattiva conoscenza a volte frena il mercato e quindi le banche che erogano finanziamenti”. Il presidente di Jonica Impianti aggiunge un altro fattore: “L’Enel sicuramente anche a causa della bolla del fotovoltaico ha ritardato gli allacciamenti degli impianti del minieolico. Aspettiamo anche da 8 a 11 mesi per ricevere un allacciamento alla rete. Addirittura ci sono stati casi in cui ci è stato detto che l’allacciamento non si poteva fare”.

Ritardi e mancanza di chiarezza legislativa, qualsiasi siano i problemi del minieolico, sta di fatto che i rischi di danneggiare un settore in potenziale ascesa ci sono, come spiega Battisti: “Il minieolico è un settore molto particolare. La maggior parte delle macchine vengono vendute per terreni agricoli. Se il contadino che la compra vede che la turbina non rende, il mercato nel raggio 10 chilometri quadrati è bruciato, perché funziona molto il passaparola”. Al contrario, in territorio urbano, a parte alcune zone industriali, è più difficile installare le turbine, in quanto le stesse macchine per le condizioni areologiche date dalla presenza di ostacoli hanno rese minori e sono sottoposte a maggiore stress da funzionamento.

Dovendo dare dei suggerimenti per rilanciare il settore, gli esperti interpellati partono dalle rispettive esperienze. Secondo Pietro Lecce è necessario guardare all’estero: “In Francia l’agevolazione è soprattutto di tipo fiscale, dove c’è un ottima legge a riguardo, meno valida sulle tariffe. Negli Usa e in Inghilterra si fa leva in entrambe le direzioni, tariffe agevolate e vantaggi fiscali”. A tal proposito, Lecce va più nello specifico: “ In Italia la legge prevede che per l’azienda agricola che integra il fotovoltaico nella rete, il ricavo di quest’ultimo venga considerato incluso e considerato come reddito agricolo e quindi con una tassazione inferiore. Questo non è previsto per il minieolico. Perché?”

Secondo Lorenzo Battisti, invece, “andrebbe affrontato il problema della mappatura specifica per il minieolico e bisognerebbe sviluppare sensori di rilevazione sulle torri anemometriche di buona qualità ma a basso costo”. Senza dimenticare l’innovazione e la ricerca. Per le grandi macchine si fanno test accelerati, per provare la resistenza di 20 anni in uno solo; ma essendo il mercato del minieolico ancora pressoché artigianale questi test non sono previsti, visto che i fondi a disposizione sono pochi.

ADV
×