Biocombustibili senza regole, rischio di aumento delle emissioni

  • 21 Maggio 2011

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Se UE e governo italiano non affronteranno con norme rigide il problema dell'uso del suolo per produrre cibo ed energia i biocombustibili saranno nel 2020 dell'81-167% più inquinanti dei combustibili fossili di cui prenderanno il posto, con una riconversione in Europa di terreni pari a 2 volte la superficie del Belgio e il 20% dell'Italia.

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“Entro il 2020 l’Italia sarà il quarto produttore in Europa di gas serra legati ai biocarburanti con una produzione di emissioni che potrà variare dai 2,6 ai 5,2 milioni di tonnellate di CO2 l’anno”. E’ questo lo scenario che si profila nel nostro Paese se non si garantiranno norme per biocarburanti sostenibili e a basse emissioni. A lanciare l’allarme sono stati Legambiente e Chimica Verde nel corso del convegno “Lo sviluppo dei biocarburanti e il consumo di suolo agricolo” svoltosi nell’ambito di Terra Futura a Firenze.

Entro il 2020, i biocarburanti in Europa dovranno rappresentare il 9,5% dei combustibili usati nei trasporti e se non si adottano altre strategie, secondo uno studio dello Ieep (Institute for European Environmental Policy), il 92% deriverà da terreni prima destinati alla produzione di cibo, generando quello che viene chiamato un cambio indiretto d’uso del suolo (Iluc): cioè quando si producono colture per biocarburanti laddove prima si coltivavano prodotti agricoli destinati all’alimentazione, provocando danni ingenti all’ambiente e agli ecosistemi, poiché’ il cibo precedentemente generato da quelle terre dovrà essere prodotto altrove. Un trend di questo tipo in Europa potrebbe portare, quindi, a una riconversione di terreni pari a 69.000 kmq, ovvero circa due volte la superficie del Belgio e il 20% dell’Italia.

Ma per trovare una quantità così vasta di terre, si dovrebbe per forza procedere alla deforestazione di ampie aree in altre parti del mondo. Se non si terrà conto del cambio indiretto d’uso del suolo, dunque, i biocarburanti emetteranno ogni anno dai 27 ai 56 milioni di tonnellate di CO2 in più rispetto all’uso degli attuali combustibili fossili.

Le direttive comunitarie ad oggi stabiliscono che, per essere considerati sostenibili, i biocarburanti nel loro ciclo di vita devono dimostrare una riduzione delle emissioni di gas serra del 35% rispetto ai combustibili fossili. Nel 2017, la riduzione di emissioni dovrà corrispondere al 50%, ma se il cambio indiretto d’uso del suolo non verrà tenuto in considerazione, non solo non si otterrà questa riduzione, ma i biocarburanti saranno dall’81 al 167% più inquinanti dei combustibili fossili di cui prenderanno il posto.

Per questa ragione, secondo Legambiente e Chimica Verde è fondamentale una legislazione europea che assegni a ogni coltura per biocarburante un valore specifico di emissioni di gas serra tenendo conto del “cambio indiretto d’uso del suolo”.

E’ importante promuovere la produzione di biocarburanti sostenibili che non stravolgano la produzione di cibo, favorendo invece quei biocarburanti prodotti da terre non utilizzate in precedenza o da materiali di scarto o ancora dalla rotazione delle colture. “Se il governo italiano e l’Unione Europea non affronteranno  correttamente il problema dell’uso del suolo per produrre cibo e produrre energia rischiano di vanificare la lotta all’effetto serra e di creare ulteriori danni agli ecosistemi – ha spiegato Beppe Croce, responsabile non-food per Legambiente -. La produzione di biocarburanti sostenibili è possibile e doverosa per uscire dalla dipendenza dalle fonti fossili, ma solo se il cambio d’uso indiretto del suolo verrà tenuto in conto nelle direttive Ue”.

L’Italia, infatti, è uno dei sei Stati membri dell’Unione Europea che contribuirà per il 70% all’incremento di domanda di biocarburanti entro il 2020. Questo vuol dire che in termini di cambio indiretto d’uso del suolo potrebbe essere responsabile per una superficie variabile dai 395 ai 651mila ettari di terra, pari quasi all’estensione di Valle d’Aosta e Molise messe insieme.  

“Per i biocarburanti – ha aggiunto Luca Lazzeri, presidente di Chimica Verde – dobbiamo puntare su filiere corte, prodotti di scarto e su tutte le colture che non richiedano la conversione di terre, utilizzando per esempio i terreni marginali che comunque non sono coltivati. Dobbiamo inoltre sfruttare la rotazione fra colture di cibo e colture per biocarburanti, perché alternando le une alle altre si arricchisce il terreno e non si ha una perdita di produzione alimentare”.

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