L’eolico offshore cerca la sua grid parity

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L'eolico offshore sarà competitivo senza incentivi rispetto alle fonti tradizionali entro 15-20 anni. Lo sostiene un'indagine sul settore fatta da PricewaterhouseCoopers. Per raggiungere la grid parity i costi del megawattora dovranno dimezzarsi, qualcosa potrà fare l'evoluzione tecnologica, ma gli ostacoli non mancano.

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L’eolico offshore è una delle tecnologie rinnovabili con il più grande potenziale energetico, ma è ancora giovane e costoso e ha vari ostacoli da superare. Che futuro ha davanti? Un recente studio di PricewaterhouseCoopers (allegato in basso) ha cercato di definirlo andando a intervistare esperti governativi, dell’industria e del mondo scientifico. La conclusione che ne emerge è che – senza incentivi – questa fonte potrebbe essere competitiva rispetto alle fonti tradizionali attorno al 2025: circa la metà degli intervistati prevede che raggiunga la grid parity entro 10-15 anni mentre il 17% stima che ciò avvenga entro 15-20.


Per essere competitivo con la generazione elettrica convenzionale l’eolico offshore dovrebbe dimezzare i costi per megawattora. Secondo la strategia nazionale del Doe statunitense si dovrebbe passare dai 270 $/MWh del 2010 a 100 $/MWh nel 2020 per arrivare a 70 nel 2030. Una riduzione realistica? E’ tutto da vedere, avverte il report: gran parte dei costi dell’eolico off-shore viene da opere di ingegneria pesante e da materie prime come l’acciao: le tendenze nei prezzi di queste rendono difficile prevedere grosse riduzioni dei costi. Se oltre il 40% degli intervistati prevede una riduzione dei costi nei prossimi 5 anni, il 33% ritiene che restino invariati e il 25% che addirittura nel quinquennio aumentino. Si tratta infatti di un mercato che sarà probabilmente condizionato da un’offerta limitata rispetto alla domanda.


Su un periodo più lungo invece i costi potranno essere ridotti grazie ai progressi tecnologici, in particolare dall’aumento di taglia delle turbine. Come abbiamo raccontato su queste pagine, si stanno producendo turbine eoliche sempre più potenti. Le macchine attuali arrivano al massimo a 6 MW ma si sta lavorando a turbine da 10 MW che promettono di arrivare sul mercato nei prossimi 2-3 anni (Qualenergia.it, L‘eolico in mare e le ‘superturbine’) e il progetto HiPRWind (High Power, High Reliability Offshore Wind Technology), che si concluderà nel 2015, si propone di realizzare macchine per l’offshore con potenze fino a 20 MW.


Altra innovazione recente è quella delle turbine su piattaforme galleggianti: la prima al mondo è stata inaugurata nel 2009 (Qualenergia.it, Eolico off-shore, futuro galleggiante?). Questa soluzione permetterebbe di installare macchine in aree con fondali fino a 300 metri allo stesso costo delle turbine tradizionali poste in fondali con profondità di 40 m. Ciò consentirebbe di accedere a una quantità enorme di siti con venti forti e costanti e che non hanno il problema della vicinanza alla costa e dei relativi problemi di impatto visivo, spesso presente in aree con fondali bassi.


Ma l’evoluzione tecnologica potrebbe riservare anche brutte sorprese all’eolico in mare. Se due terzi del panel sostiene che i progressi tecnici favoriranno questa tecnologia, la stessa proporzione di intervistati avverte che svolte tecnologiche che abbassino i costi delle fonti concorrenti potrebbero invece penalizzarla.


La notizia positive del report è poi che la fiducia degli istituti finanziari per l’eolico in mare sta crescendo: il 64% degli intervistati vede questi progetti meno rischiosi rispetto a 2 anni prima. Da segnalare, infine, come è cambiato il confronto con il nucleare dopo Fukushima: prima dell’incidente più della metà del panel vedeva l’eolico offshore come ‘meno’ o ‘molto meno’ economicamente attraente rispetto all’atomo, ma dopo l’incidente tre quarti degli intervistati aveva cambiato opinione a discapito del nucleare.

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