Emissioni, la Gran Bretagna alza l’asticella al 2030

Superando aspre divisioni interne il governo britannico accoglie le raccomandazioni degli esperti e taglia le emissioni di gas serra con decisione: si parla di un obiettivo vincolante di -60% al 2030. Decisive le fonti rinnovabili e la carbon sequestration. ma sul nucleare è polemica per gli aiuti nascosti.

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La Gran Bretagna taglierà le emissioni del 60% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. E’ il nuovo obiettivo, legalmente vincolante, che il  paese si darà e che dovrebbe essere annunciato ufficialmente domani. Dopo un acceso scontro sulla questione tra i ministri, il governo britannico accoglie in toto la strategia raccomandata dalla commissione di esperti indipendenti del Committee on Climate Change (CCC). Il merito – riportano Guardian e Observer – sarebbe dell’intervento risolutivo di David Cameron, primo ministro di quello che vorrebbe essere il “greenest government ever”, il governo più verde di sempre, che con la non accettazione dei tagli proposti si sarebbe giocato il già discusso titolo.


I ministeri delle Finanze, dei Trasporti e degli Affari erano contrari al piano suggerito dal CCC, fortemente voluto invece dal ministero per l’Energia e i cambiamenti climatici, presieduto da Chris Hune. Alla fine hanno firmato, come riporta la BBC, ottenendo di introdurre una clausola seconda la quale la Gran Bretagna potrà rivedere i propri obiettivi se le altre nazioni europee abbasseranno i loro obiettivi nazionali.


Insomma, in Gran Bretagna ha vinto la componente di governo che premeva per obiettivi più ambiziosi, mentre ha ceduto quella che sosteneva le lobby dell’industria tradizionale, cui le riduzioni fanno paura. A sostenere un taglio coraggioso della CO2 assieme al ministero dell’Energia quello degli Esteri: essere in prima fila nella lotta al global warming – è la tesi dei due dipartimenti – è un’occasione da non perdere per i vantaggi che dà a livello di autorevolezza in politica internazionale e di competitività nell’arena della green economy.


Soddisfazione per i nuovi obiettivi viene dal mondo ambientalista: Greenpeace parla di vittoria storica, mentre Friends of the Earth rilancia, facendo notare che anche l’obiettivo al 2020 – meno 34% rispetto ai livelli del 1990 – dovrebbe essere rialzato alla luce del calo di emissioni avutosi con la crisi.
Il nuovo carbon budget delineato dal CCC (qui tutti i dettagli) a ogni modo dovrebbe consentire al paese di raggiungere un meno 80% di CO2 entro il 2050, e farà molto per lo sviluppo della green economy britannica. Un ruolo determinante nella decarbonizzazione lo avrà l’energia eolica, in particolare quella off-shore: assieme ad altre fonti, come  l’energia dalle maree, dovrà garantire entro il 2030 il 40% dell’elettricità consumata.


Nel piano del CCC anche uno sviluppo deciso del sequestro e stoccaggio della CO2, tecnologia su cui la Gran Bretagna sta investendo molto. Prevista anche una diffusione massiccia delle pompe di calore, che dovranno essere installate in 2,6 milioni di case entro il 2025. Per quel che riguarda i trasporti, alla stessa data il 3,1% delle nuove auto e il 14% del totale su strada dovrà essere a trazione elettrica. Per raggiungere gli obiettivi serviranno investimenti per 16 miliardi di sterline, parte dei quali verranno raccolti dalle bollette degli inglesi.


Nella strategia britannica per ridurre le emissioni di gas serra, infine, anche l’atomo continua ad avere una parte importante. E qui l’argomento si fa spinoso per il governo di Cameron: una parte della coalizione, l’area Lib-Dem, è da sempre contraria all’atomo, mente i Conservatori sono favorevoli. Un compromesso era stato trovato prevedendo che il nucleare si faccia, ma senza alcuna forma di aiuto pubblico. Solo che – denuncia il report di una commissione parlamentare britannica lanciato oggi – nelle politiche governative gli aiuti all’atomo sono previsti, eccome, anche se nascosti. Sono ad esempio all’interno dei contratti a lungo termine per la fornitura di elettricità stipulati tra governo e le utility, nella garanzia di mantenere un prezzo minimo per la CO2, nella possibilità data alle aziende del nucleare di scaricare in bolletta i costi e in quella di far pagare ai contribuenti eventuali costi non previsti legati allo stoccaggio delle scorie delle nuove centrali.

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