Il complicato gap tra politica e comunità scientifica

Per limitare l’aumento della temperatura globale ad almeno 2°C, servono obiettivi sempre più stringenti, come dimostra un rapporto dell'UNEP. Mentre ufficialmente al negoziato di Bangkok non accade nulla, dietro le quinte si vocifera di una possibile intesa tra UE e G77/Cina per un Protocollo di Kyoto-bis.

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Un recente rapporto UNEP, The Emissions Gap Report, ha messo in evidenza il divario tra gli impegni volontari dichiarati dai paesi allegato I a Copenhagen e la richiesta della comunità scientifica per limitare l’aumento della temperatura globale a 2-1,5 gradi centigradi. Questo studio parte dall’accordo di Copenhagen del 2009 e analizza le risposte dei paesi industrializzati al problema dei cambiamenti climatici nell’arco dei 12 mesi successivi. Lo studio identifica quel che resta da fare al fine di colmare lo spazio tra la scienza e il livello attuale dell’impegno dei paesi industrializzati per la riduzione delle emisioni dei gas serra.


Secondo il rapporto UNEP, nel caso in cui gli impegni e le azioni di lotta ai cambiamenti climatici sottoscritti dai paesi che si sono associati all’Accordo di Copenhagen siano attuati e sovvenzionati al meglio, il taglio annuale alle emissioni dei gas serra sarebbe equivalente a 7 gigatonnes (Gt) di CO2equivalente al 2020. In ogni caso, anche assumendo una previsione così ottimistica, per avere un livello di emissioni pari a 44 Gt di CO2al 2020, necessario al fine di mantenere una probabilità accettabile di raggiungere l’obiettivo dei 2 gradi centigradi entro il 2100, è necessario un taglio ulteriore alle emissioni pari a 5 Gt al 2020 (vedi grafico).



Il rapporto UNEP dimostra che i cambiamenti climatici risultano ancora tra i principali problemi ambientali del pianeta, ma soprattutto indica chiaramente che la comunità internazionale è chiamata ad adottare regole e obiettivi sempre più precisi e stringenti per rimediare alla mancanza di volontà politica dimostrata dai leader mondiali a Copenhagen e Cancun.


Infatti anche il recente negoziato di Bangkok ha chiuso senza affrontare nessuno dei temi negoziali in agenda. La divisione ha riguardato l’agenda, ma soprattutto la visione e l’ambizione dei vari paesi riguardo al risultato da conseguire alla prossima Cop di Durban, in Sud Africa.


I paesi in via sviluppo continuano a chiedere, dopo 5 anni di negoziato, chiarezza e impegni precisi da parte dei paesi industrializzati riguardo all’adozione di nuovi obblighi di riduzione dei gas ad effetto serra nel secondo periodo di adempimento del protocollo di Kyoto. Nella sessione plenaria a Bangkok, la domanda diretta da parte di Tuvalu su quale siano le condizioni ancora necessarie affinché possa essere sottoscritto un impegno chiaro in tal senso da parte dei paesi Allegato I ha trovato poche risposte. Ci hanno provato senza successo Unione Europa, Nuova Zelanda e Australia. Silenzio dai banchi di quei paesi che hanno piu volte dichiarato (anche a Bangkok) di essere contrari ad un nuovo adempimento nell’ambito del protocollo di Kyoto a queste condizioni (senza gli USA): Giappone, Canada e Federazione Russa.


Tuttavia, sempre a Bangkok, dietro le quinte e tra i corridoi del centro conferenze delle Nazioni Unite, qualcosa sembra si sia mosso. Ripetuti contatti si sono avuti tra i delegati dell’Unione Europea e dei membri del gruppo dei 77 e Cina (G77 e Cina, ossia i paesi in via di sviluppo), riguardo al risultato da conseguire a Durban.


Si tratterebbe infatti di un accordo di massima tra UE e G77/Cina sul secondo periodo di adempimento del Protocollo di Kyoto. Un’intesa che potrebbe salvare il summit di Durban di fine anno e che potrebbe avere effetti dirompenti sul sistema di alleanze e gruppi negoziali nel sistema UNFCCC. Una sorta di coalizione dei volenterosi, in contrapposizione al gruppo più intransigente. Al momento, un’ipotesi tutt’altro che facile da concretizzarsi. Sicuramente, una soluzione che metterebbe in serio imbarazzo anche l’Italia, da sempre contraria ad un «Kyoto-bis » che non comprenda tutti i paesi industrializzati e i maggiori paesi in via di sviluppo.

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