Dire addio agli incentivi al fotovoltaico dopo il 2016

Il fotovoltaico italiano potrà crescere con le proprie gambe dopo il 2016, ma per arrivare a questo il settore dovrà essere accompagnato da un'adeguata incentivazione, meglio se basata su una tariffa fissa, anziché una 'feed in premium', come quella in vigore. Un'intervista ad Arturo Lorenzoni dell'Università di Padova.

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“In questi ultimi mesi i prezzi di diversi componenti degli impianti fotovoltaici sono diminuiti molto e continuano ad esserci margini per un’ulteriore forte riduzione anche per i prossimi anni. Pertanto è corretto ridurre sensibilmente le tariffe incentivanti accompagnando il settore fino all’uscita dal sistema dei sussidi che prevediamo per il 2017. Dare oggi un orizzonte temporale ampio a chi investe e puntare a 26 GW di potenza installata al 2020. Meglio sarebbe passare ad una sistema a tariffa fissa pura, come quello tedesco”. Questo in estrema sintesi è il quadro indicato da Arturo Lorenzoni dell’Università di Padova, analista del settore, intervistato da Qualenegria.it alla vigilia della presentazione del prossimo conto energia fotovoltaico.

Quali sono le variabili più o meno rigide su cui il tuo gruppo di lavoro ha impostato l’analisi dello sviluppo del settore fino al 2020? Ad esempio, una variabile che avete considerato è la cifra massima di incentivi per il fotovoltaico di circa 6 miliardi di euro l’anno indicata da Confindustria e probabilmente anche dal Ministero?

Anche questa, ma soprattutto nella nostra analisi siamo partiti da un vincolo di un installato di 2 GW all’anno. Una potenza che il Gifi aveva concordato con il Ministero dello Sviluppo Economico. Va detto però che questo non è un cap rigido. Se  viene superato fa scattare la riduzione ulteriore delle tariffe passando a quelle previste per il periodo successivo, sull’esempio del modello tedesco. Secondo me una soglia rigida creerebbe distorsioni di mercato pazzesche, come abbiamo visto anche con il decreto “salva Alcoa”. L’altra variabile forte che abbiamo voluto introdurre è che dal 2017 ci debba essere una crescita del mercato senza incentivazione. Se il prezzo del petrolio dovessero salire in fretta questa evoluzione potrebbe avvenire anche prima, ad esempio al sud Italia anche nel 2014. L’idea proposta dalle imprese al Governo è semplice: se voi ci accompagnate fino al 2015-2016, sappiate che poi il mercato procederà con le sue gambe. Si tratta quindi di un periodo di sostegno verso la grid parity, che alla luce dei conti che stiamo facendo sembra ragionevole e fattibile.

Un limite annuale di 2 GW è comunque basso rispetto all’andamento del settore di questi ultimi due anni, in Italia e nel mondo.

Ricordiamoci che Assoelettrica spinge per un limite annuale di 500 MW. Un approccio inaccettabile che non deve passare. E comunque va evidenziato che questo nostro nuovo scenario prevede una potenza installata totale al 2020 di 25-26 GW e circa 33 TWh di produzione, quando il precedente scenario del Gifi considerava solo 15 GW. Secondo me si tratta di un passo avanti significativo.

Parliamo di tagli alle tariffe e di soluzioni incentivanti possibili per il quarto conto energia.

Le ultime tariffe erano sicuramente troppo elevate. Ritengo che le imprese con il terzo conto energia abbiano fatto un errore strategico madornale. Prima che uscisse il decreto, le tariffe che venivano indicate erano più basse, anche se di poco, rispetto a quelle che poi sono state fissate con il nuovo conto energia. Per portare a casa qualche megawatt in più nel 2010 si è rischiato di mettere a repentaglio l’intero settore. E poi c’è stato il famigerato decreto ‘salva Alcoa’. Un cambiamento importante però sarebbe il passaggio dalla tariffa “feed in premium”, il sistema attualmente in vigore in Italia, ad una feed in tariff, trasformando cioè l’incentivo in un prezzo fisso. Secondo me è una cosa desiderabile, perché avere energia ad un prezzo conosciuto, fissato e bloccato nel tempo sarà fondamentale soprattutto se dovesse raddoppiare il prezzo del petrolio. Questa energia pulita allora diventerebbe più conveniente di quella acquistata dalla rete. Oggi possiamo giustamente garantire gli investimenti alle imprese, ma in futuro, in questo modo, si potrà riportare il beneficio sui consumatori che hanno pagato inizialmente quello che possiamo definire un premio assicurativo. Quindi, quando tra qualche anno l’energia elettrica dovesse costare di più potrò restituire il favore dando energia a basso prezzo. Questa non è soluzione molto amata dalle imprese italiane che vogliono il feed in premium, ma poi poter continuare a scegliere tra andare sul mercato o avere una tariffa fissa. Mi sembra voler la botte piena e la moglie ubriaca. Non escludo che si vada verso un sistema di tariffa fissa, una feed in tariff pura alla tedesca già dal 2012.

Come giudichi in generale l’atteggiamento delle imprese del settore?

Si stanno ripetendo alcuni errori. Quando ad esempio si discuteva di elevare a 12 anni il periodo di incentivazione dei certificati verdi, che al tempo erano di 8, il Consiglio dei Ministri in cui si discuteva di questo aspetto alla fine decise, su pressione delle imprese, di portarli a 15, anche per gli impianti già in esercizio. Fu una sorpresa e per me frutto di un approccio miope e di breve periodo. In questo modo si va ad aumentare l’onere per i consumatori in maniera esagerata. Questa sono le scivolate che le imprese dovrebbe evitare.

Per quanto riguarda invece il fotovoltaico?

Come detto le tariffe del terzo conto energia si potevano ridurre molto di più. Se pensiamo ad esempio all’industria degli inverter, qui i margini restano veramente molto elevati. Quando nella seconda metà del 2010 le imprese facevano le offerte dicendo: ‘se rientriamo nel 2010 ti costerà 100, se invece prendiamo le tariffe 2011 ti costerà 80 così che il tuo il piano finanziario non ne soffrirà’. Un discorso che risponde a quell’accusa di molti che premi troppo alti portano a prezzi alti.

Nella vostra analisi cercate di valutare il livello degli incentivi al fotovoltaico con i benefici, specie quelli per l’erario.

L’Iva è uno di questi benefici che va allo Stato per gli impianti realizzati. Sono però i consumatori elettrici che pagano l’incentivo, mentre lo Stato recupera l’Iva e la fiscalità delle imprese che hanno investito. Quindi per lo Stato la partita è comunque positiva, perché di fatto non ha uscite, ma entrate importanti. Altro aspetto rilevante che andrebbe valutato, come la vostra testata ha peraltro spesso sottolineato, è la riduzione dei prezzi nel mercato elettrico. Ad esempio, oggi in Italia, alle 12, abbiamo 4 e passa gigawatt di fotovoltaico che stanno producendo; quindi il prelievo sulla rete è di 4 GW più basso e di conseguenza questo farà abbassare il prezzo sulla Borsa elettrica. E’ difficile quantificare questo aspetto non avendo un modello adeguato del mercato per valutarlo, ma sicuramente è un effetto positivo importante.

Sicuramente questo non fa piacere ai grandi produttori di elettricità da fonte convenzionale.

Neanche un po’. E questa è la ragione per cui Assoelettrica sta sparando contro gli incentivi al fotovoltaico e chiede una riduzione delle tariffe, addirittura del 50%.

L’ammontare della spesa massima per le incentivazioni è comunque un parametro che avete seguito?

In effetti l’incidenza di questi 6 miliardi di euro circa per anno relativi agli incentivi al fotovoltaico è una grossa cifra, ma alla luce dell’ammontare delle cifre di cui stiamo parlando è assolutamente digeribile dal sistema. Ad esempio, se consideriamo la volatilità del prezzo del petrolio sappiamo che tali oscillazioni portano ad impatti economici ben maggiori di questa cifra di 6 miliardi. Anche se questo aspetto non deve essere una scusa per esagerare con gli incentivi alle rinnovabili e al fotovoltaico in particolare.

Quali errori vanno evitati nella nuova versione del conto energia?

Innanzitutto dare un orizzonte temporale troppo breve sarebbe un errore  strategico. Inoltre non bisognerà tagliare troppo e immediatamente le tariffe. In generale non va bloccato il settore come è accaduto in Spagna dove si è messa anche in difficoltà l’industria nazionale.

A proposito, che spiragli vedi per il nostro settore dal punto di vista industriale?

Non sono così pessimista come molti osservatori. Il fatto che da noi non si facciano personal computer e che li facciano tutti in Cina, non vuol dire che non dobbiamo investire nell’informatizzazione e sulle reti internet. Allo stesso modo nel fotovoltaico, il fatto che non si producano, se non marginalmente, silicio e celle, non vuol dire che non si possa sviluppare la parte più bassa della filiera. Si replica affermando che è la parte a minor valore aggiunto. Ma anche i servizi informatici sono a minor valore aggiunto rispetto a chi fa i chip. Stiamo attenti a non denigrare tutta una serie di attività legate al monitoraggio degli impianti, all’installazione, ai servizi, allo sviluppo in atto nel settore dell’integrazione in edilizia, che sono comunque parti significative e che in prospettiva potranno anche crescere.

Però si fa pochissimo per il futuro dell’industria nazionale.

Oggi ancora non sappiamo quale sia la tecnologia in cui il fotovoltaico correrà di più dal 2015-2016 in avanti. Ci sono aziende italiane che sicuramente se la potranno giocare bene sul piano dei nuovi materiali innovativi e dell’integrazione negli edifici. Ma in effetti va detto che queste imprese stanno facendo tutto da sole. Essere appoggiate dallo Stato non vuol dire solo prendere del denaro, come i 30 miliardi di dollari dati dal governo cinese alle industrie del settore, ma significa anche facilitare il dialogo fra le imprese, tra queste e le università, presentarle nelle fiere internazionali, far girare le informazioni necessarie. Tutto questo manca totalmente.

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