La siccità che farà crescere il prezzo del barile

A causa del riscaldamento globale molte aree del pianeta soffriranno di una scarsità idrica sempre più severa. Colpiti soprattutto i paesi Opec dove la carenza d'acqua influirà anche sull'estrazione del petrolio, provocando un aumento del prezzo del barile. Un report di Maplecroft, società che fa analisi del rischio.

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ll riscaldamento globale come sappiamo aggraverà la carenza d’acqua in molte zone del pianeta. Le conseguenze saranno pesanti e si faranno sentire sull’agricoltura, ma anche sulla produzione industriale di molti paesi. Si acuiranno i problemi di sopravvivenza e causeranno migrazioni e conflitti. C’è però un altro effetto meno noto della scarsità idrica: quello sul prezzo del petrolio. La mancanza d’acqua infatti contribuirà a mandare il prezzo del barile alle stelle, dato che grandi quantità d’acqua sono fondamentali nello sfruttamento di certi giacimenti e che gran parte dei paesi produttori si trovano in zone che saranno sempre più a secco.


Lo spiega molto bene l’ultimo report sulla scarsità idrica pubblicato dalla società di analisi del rischio Maplecroft. La carenza d’acqua, vi si legge, potrebbe minare la crescita di alcuni settori industriali in Cina e in India e nemmeno l’Europa ne sarà completamente risparmiata: nei paesi mediterranei gli effetti saranno notevoli. Un quarto delle più grandi aziende del mondo già ora sono ritenute a rischio per la mancanza d’acqua e il problema in futuro potrebbe mettere in ginocchio intere economie.


Un’idea delle aree che saranno più colpite la dà la mappa (vedi sotto) disegnata da Maplecroft che misura lo stress idrico, un indicatore calcolato tenendo conto di vari fattori quali la disponibilità d’acqua, la popolazione, la dipendenza da fonti idriche estere e l’intensità idrica dell’economia, ossia la quantità d’acqua necessaria nei processi produttivi in rapporto alla ricchezza prodotta.


Quel che salta agli occhi è che nella cartina del rischio la scarsità idrica è presente in molti paesi produttori di petrolio: dei 12 membri OPEC, ben sei  – Algeria, Iraq, Kuwait, Libia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi – sono nella categoria di rischio più alto mentre altri 2 – Iran e Qatar – sono  nella seconda categoria, quella “ad alto rischio”. Complessivamente il 45% del petrolio mondiale viene da paesi a rischio “estremo” o “alto” di scarsità idrica.



Un dato spiega la correlazione prevista tra la futura diminuzione della disponibilità d’acqua e l’aumento del prezzo del barile. Nella produzione del greggio infatti vengono usate grandi quantità d’acqua: le compagnie spesso la prendono da acquedotti e falde acquifere per pomparla nei pozzi, in modo da far uscire quel petrolio che non sarebbe estratto per la sola pressione geologica. Un metodo usato soprattutto nei giacimenti in via d’esaurimento per prolungarne la vita produttiva ed esportare più petrolio.


“Se non c’è la disponibilità di acqua necessaria la produttività calerà e le operazioni saranno interrotte, cosa che potrebbe influenzare molto la produzione petrolifera e i prezzi”, spiega il report. A questo si aggiunga che la scarsità idrica non potrà che aumentare conflitti e instabilità politica nell’area MENA (Nord Africa e Medio Oriente). Insomma, oltre all’esaurimento progressivo delle risorse (secondo molti il picco della produzione convenzionale sarebbe già stato superato)  e all’aumento della domanda, anche il clima che cambia contribuirà a spingere in alto il prezzo del barile. Un motivo in più per cercare di abbandonare al più presto il petrolio. Ma, come sappiamo, non sarà così facile.

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