Quel calore perenne che è difficile raffreddare

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La causa fondamentale del rilascio di vapori radioattivi dai reattori di Fukushima è il calore che viene sprigionato all’interno dei reattori, detto calore di decadimento. Un calore che va raffreddato con un sistema a circuito chiuso, che va quanto prima ripristinato. Ne parliamo con Alex Sorokin, ingegnere nucleare.

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Il nucleare sembra convalidare la famosa legge di Murphy “se una cosa può andar male, prima o poi lo farà”. E il caso di Fukushima conferma appieno questi timori. “Quando progetti una centrale nucleare lo devi fare per il peggior evento possibile, anche relativo ad un errore umano. Va fatto presente che circa 115 anni fa c’era stato in quell’area uno tsunami particolarmente violento, di livello paragonabile a quello dell’11 marzo, e che ovviamente non è stato considerato nella fase progettuale di questi reattori”. Un errore molto grave che pesa sulla coscienza di quei progettisti che, per limitare i costi, forse hanno ceduto troppo ad interessi economici che non dovrebbero influenzare le scelte progettuali sulla sicurezza. Questa è in sintesi la posizione e la critica di Alex Sorokin, ingegnere nucleare (nella foto) specializzato in progettazione termodinamica dei reattori, sull’emergenza nucleare in atto in Giappone.


Abbiamo iniziato col chiedergli cosa stia accadendo ora in quei reattori nucleari e se le continue rassicurazioni delle autorità nucleari giapponesi siano verosimili.


Il punto chiave è che da questi reattori continua ad essere sprigionato un forte calore, detto ‘di decadimento’. La diminuzione iniziale ormai è avvenuta e per le prossime settimane questo calore sarà quasi costante, andando a degradarsi lentamente nei mesi e negli anni. Attualmente nei due reattori più grandi si può stimare un’erogazione di potenza termica pari circa 10 MW (l’equivalente di un fuoco che brucia 1000 litri di benzina ogni ora) che va assolutamente smaltita, altrimenti c’è sempre il rischio che la massa fusa all’interno dei reattori possa perforare il contenitore, detto vessel, ed entrare in contatto con l’ecosistema. Dunque è indispensabile immettere acqua nel reattore, possibilmente in modo mirato. Ora stiamo osservando nuvole di fumo bianco che fuoriescono dai reattori: è molto probabile che si tratti di vapore acqueo, purtroppo radioattivo.


A proposito di calore di decadimento, in una nota tecnica apparsa in questi giorni sul sito dell’Enea si legge “… in qualsiasi impianto nucleare a fissione, anche a seguito dello spegnimento della reazione a catena, continua a prodursi energia termica nel nocciolo del reattore per via del calore derivante dal decadimento radioattivo dei prodotti di fissione. Tale calore deve essere smaltito, altrimenti la temperatura del combustibile sale fino a provocare il danneggiamento del nocciolo e il conseguente rilascio dei prodotti di fissione nel circuito primario del reattore …” Un problema dunque comune a tutti i tipi di reattore nucleare a fissione, di prima come di terza o anche quarta generazione?


Il problema del calore di decadimento è un problema universale che si riscontra in tutti i reattori nucleari a fissione dell’Uranio, in qualsiasi tipo e di qualunque generazione. Un fenomeno che si verificherà sempre. E’ apprezzabile che l’Enea dia questa informazione perché in questo modo fornisce un elemento di chiarezza su quello che sta avvenendo in Giappone. Ma l’aspetto curioso è che nel mondo anglosassone questo tema viene da tempo ampiamente discusso in migliaia di articoli tecnico-scientifici, anche consultabili su internet, mentre in Italia finora non c’era niente e soprattutto nulla in lingua italiana. Adesso abbiamo finalmente questa precisazione da parte dell’Enea.


Una precisazione che arriva purtroppo un po’ in ritardo per un ente preposto alla gestione del nucleare nel nostro paese e alla comunicazione anche sui problemi relativi alla sicurezza. Torniamo allora alla questione chiave. Come va raffreddato questo calore?


Quello che serve ora è un sistema di raffreddamento a circuito chiuso, e non il getto di semplici idranti dall’esterno. Va ripristinato cioè in tutti i modi possibili un sistema di raffreddamento all’interno degli impianti, che probabilmente è stato parzialmente danneggiato, ma che va ripristinato quanto prima. Questo è l’unico modo per evitare il rilascio di vapore radioattivo dai reattori, che sappiamo pericoloso per l’ecosistema e la salute umana anche a lungo termine.


Quando invece si parla di spegnimento dell’impianto a cosa si fa riferimento?


Gli impianti nucleari sono stati spenti automaticamente al momento del sisma. Vuol dire che la reazione primaria di fissione dell’uranio è stata bloccata istantaneamente al momento della scossa. Ma le reazioni secondarie delle scorie presenti nel nocciolo che producono questo calore di decadimento invece non possono essere spente e continuano in modo spontaneo per anni e potremmo dire per decenni. Il problema delle piscine di stoccaggio delle barre esauste è provocato dallo stesso fenomeno. Solo che, essendo trascorso più tempo (mesi o anni) dal momento in cui le barre hanno funzionato nel reattore, il calore di decadimento è minore, ma continuano anche loro a produrre molto calore, che richiede di essere raffreddato. L’aspetto più pericoloso è che le piscine sono esterne al contenitore del reattore, quindi se le barre esauste si fondono perche l’acqua all’interno delle piscine è evaporata, non c’è alcun contenimento in grado di proteggere l’ambiente esterno dalla inevitabile fuoriuscita del materiale radioattivo contenuto nelle barre fuse.


Qualcuno ha parlato di ricoprire i reattori con un sarcofago di cemento armato come è successo a Chernobyl.


Qui però stiamo parlando di 3, 4 o forse 6 reattori da coprire. Un’impresa colossale rispetto alla centrale di Chernobyl che ricordiamo ha richiesto da sola uno sforzo immane. Ma a Fukushima c’è un’aggravante: quasi ogni giorno in Giappone ci sono scosse molti forti. Secondo me non si può costruire un sarcofago rigido di cemento armato perché inevitabilmente, a causa dei frequenti terremoti, si formeranno delle crepe nell’involucro, già subito in fase costruttiva, proprio a cause delle scosse. Comunque prima di un’eventuale copertura di questo tipo, ammesso che ciò sia realistico, bisognerà sempre garantire il raffreddamento del reattore, altrimenti il sarcofago potrebbe far peggiorare la situazione visto che il fuoco che brucia al suo interno, non potendo sfogare il calore che produce riscalderebbe ancora di più. Il rischio è quello di una perforazione del containment verso il basso, inquinando irreversibilmente l’ambiente circostante e non solo.


Cosa sappiamo del rilascio di radioattività dai reattori giapponesi?


Ora c’è un certo quantitativo di rilascio di materiale radioattivo. Stiamo parlando di elementi leggeri, di gas, che vengono emessi dai reattori. Con il tempo questi materiali, soprattutto quelli più volatili ormai già rilasciati, dovrebbero portare la radioattività immessa in atmosfera a diminuire. Comunque ritengo che finora il rilascio sia stato importante, ma probabilmente non sapremo mai quanto importante, perché non ci sono state rilevazioni soprattutto in mare aperto, visto che la stragrande parte delle emissioni radioattive è andata proprio sull’Oceano. Ora però c’è una preoccupazione in più: il vento che spirerà nei prossimi giorni arriverà da nord e l’eventuale fallout si dirigerà verso Tokyo.

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