Tsunami nucleare, le paure arrivano negli States

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La crisi giapponese apre nuove riflessioni sul nucleare nel territorio degli Stati Uniti dove sono operative 104 centrali, molte degli '70 e '80. L'amministrazione Obama, da sempre favorevole all’atomo come parte del pacchetto energie pulite, si trova ora di fronte a scelte difficili che dividono Congresso ed opinione pubblica.

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Il disastro giapponese risveglia incubi nucleari in tutto il mondo. La recente rinascita dell’energia atomica, vista da molti come soluzione pulita per raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas serra, potrebbe essere seriamente compromessa da questa crisi. Anche l’America, dove l’amministrazione Obama da sempre sostiene che il nucleare sia una parte importante del pacchetto di energie pulite, guarda con preoccupazione oltre oceano. Il quotidiano Usa Today ha pubblicato i risultati di un sondaggio condotto da Gallup secondo cui il 70% degli intervistati dice di essere più preoccupato riguardo la sicurezza nucleare dopo la crisi giapponese. Lo stesso sondaggio evidenzia che oggi solo il 44% degli americani si dichiara favorevole alla costruzione di nuove centrali, mentre appena due settimane fa erano il 57%.


E la preoccupazione è motivata. Negli Stati Uniti esistono 104 reattori nucleari (vedi mappa e link) che forniscono circa il 20% dell’energia elettrica del paese. E, come ha evidenziato il democratico Henry Waxman durante una seduta speciale del Congresso, se ai tempi di Chernobyl si poteva sostenere che gli Stati Uniti fossero al riparo da eventi di quella portata perché avevano una tecnologia più sofisticata di quella sovietica, lo stesso ragionamento non può valere ora. «Il Giappone è un paese altamente sviluppato ed è in possesso di tecnologie sofisticate quanto noi – ha spiegato Waxman – per questo c’è molta più paura che una cosa del genere possa accadere negli Usa».


La preoccupazione è particolarmente viva negli Stati in cui sono in funzione i reattori più vecchi. Il governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo, ha chiesto la chiusura della centrale di Indian Point (nella foto in alto), a una sessantina di chilometri da Manhattan. Nei suoi 40 anni di vita la centrale, che si trova in un’area densamente abitata, ha avuto ogni tipo di problema, da fughe radioattive a piccole esplosioni, e sono molti i politici locali che si oppongono all’estensione della licenza. Nel 2008, inoltre, uno studio della Columbia University ha concluso che la centrale si trova nel punto di intersezione tra due faglie attive e, anche se gli esperti assicurano che un terremoto dell’intensità di quello giapponese sia altamente improbabile in quest’area, non possono essere esclusi eventi di intensità fino ai 7 gradi della scala Richter. E la probabilità che un terremoto di questa magnitudo possa mettere fuori uso il nocciolo del reattore numero 3 della centrale di Indian Point, secondo un’analisi della Msnbc, è pari a 1 su 10.000 contro una media nazionale per gli altri reattori di 1 su 74.176.


Ma i motivi di preoccupazione per gli Stati Uniti non finiscono qui. Il reattore al centro della crisi giapponese si chiama Mark 1 ed è stato progettato negli anni ‘60 dall’americana General Electrics. Cinque dei sei reattori della centrale di Fukushima sono di questo tipo, mentre negli Stati Uniti ne esistono 23, di cui 22 sono entrati in funzione negli anni ‘70 e due negli ‘80. Molti oggi sostengono che il Mark 1 sia un tipo di reattore obsoleto e con sistemi di contenimento vulnerabili. Ma se la GE difende il suo lavoro e la sicurezza del reattore, le sue azioni in questi giorni stanno risentendo di quanto sta avvenendo nel paese nipponico, non tanto perché siano attribuite responsabilità dirette alla compagnia americana, ma perché gli investitori cominciano a dubitare nel futuro sviluppo del settore nucleare. Soprattutto in vista degli enormi rischi e le incertezze che gli investimenti nel settore comportano, anche in considerazione del fatto che i processi autorizzativi possono durare anni.


E proprio sulla questione investimenti insistono i Repubblicani americani che temono di veder tagliare i fondi governativi e che in questi giorni stanno facendo un vero e proprio pressing sulla Casa Bianca per scongiurare una contrazione del settore. La posizione ufficiale dell’amministrazione resta pro nucleare e il segretario generale per l’energia, Steven Chu, messo alle strette dai Repubblicani, ha dovuto dichiarare che il Governo è ancora favorevole agli aiuti federali per i nuovi reattori. Allo stesso tempo Chu, come anche Gregory Jaczko, responsabile della Nuclear Regulatory Commission (l’ente nucleare americano), ha più volte detto che gli Stati Uniti guarderanno con attenzione agli sviluppi della crisi giapponese per fare tesoro della lezione che ne deriverà.


I Democratici invece sembrano divisi tra chi chiede prudenza e chi non è disposto a mettere in discussione il dogma nucleare americano, portato avanti con convinzione dallo stesso Obama. Il presidente sta facendo pressioni sul Congresso per stanziare 54 miliardi di dollari per le garanzie sui prestiti all’industria nucleare, una cifra che consentirebbe il finanziamento di una decina di nuove centrali. Il segretario di Stato, Hillary Clinton, invece, intervistata dalla Msnbc, ha detto che la tragedia giapponese solleva dubbi sulla sicurezza e sulla convenienza economica del nucleare. Di contro, Bobby Rush, il più alto rappresentante democratico della sottocommissione sull’energia della Commissione governativa sull’energia e il commercio, ha dichiarato al Congresso: «Il nucleare deve essere parte di ogni portafoglio di fonti di energia rinnovabile che mai alimenterà la crescita di questo paese».


In questo clima, il primo test sarà l’approvazione o meno del progetto per la costruzione di una centrale da 14 miliardi di dollari in Georgia. Se fosse realizzato, l’impianto sarebbe il primo ad essere costruito negli Usa dopo la moratoria seguita al disastro di Three Mile Island (Pennsylvania), nel 1979. A sviluppare il progetto è la Southern Co. che dovrebbe contare su un prestito di 8 miliardi di dollari da parte del governo federale e che si dice tranquilla sul fatto che non ci saranno ritardi. Ma il governatore democratico del Massachusset Edward Markey, ha chiesto che le autorizzazioni per il nuovo reattore Westinghouse Ap1000, lo stesso che dovrebbe essere utilizzato in Georgia, siano bloccate finché non ci saranno dubbi sulla resistenza del reattore ai terremoti. Intanto la Nuclear Regulatory Commission ha dichiarato che rivedrà i propri criteri di valutazione per le nuove autorizzazioni, sulla base dei fatti giapponesi. Al momento, secondo il Nuclear Energy Institute, la commissione sta valutando 12 richieste per l’aggiunta di 20 reattori nei prossimi 15-20 anni.


Le decisioni che verranno non potranno non risentire dell’apprensione suscitata dai fatti giapponesi, soprattutto nelle molte zone sismiche del paese. In California, notoriamente un territorio particolarmente esposto al rischio terremoti, il dibattito è acceso. Questo Stato ha sempre avuto un rapporto controverso con il nucleare che tuttavia produce circa la stessa quantità di energia data dalle rinnovabili, di cui le scorse amministrazioni hanno fatto la propria bandiera. Il neo governatore, Jerry Brown, è noto per le sue posizioni antinucleariste che, durante il suo primo mandato, negli anni ’70, lo avevano portato a bloccare la costruzione di nuovi reattori. Ma adesso una delle due centrali californiane, in attività dagli anni ‘80, ha avviato il processo per rinnovare la licenza per i prossimi 20 anni. La California sarà quindi chiamata a prendere una decisione su una centrale che, in caso di terremoto, potrebbe mettere in pericolo la vita degli 8 milioni di persone che risiedono nel perimetro di 80 chilometri dall’impianto. La decisione arriva in un momento in cui il livello di emotività e preoccupazione è alto, soprattutto dopo l’allarme lanciato a seguito di alcuni monitoraggi sulla radioattività condotti a Sacramento. Secondo le analisi, sembrerebbe che le radiazioni giapponesi abbiano raggiunto le coste californiane. Le autorità invitano alla calma, ma la gente ha paura.

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