Fanelli: ecco cosa manca nel decreto rinnovabili

Pubblichiamo uno stralcio di un'intervista di Gianni Silvestrini a Tullio Fanelli, integralmente pubblicata sul prossimo numero di QualEnergia, in cui l'ex Commissario dell'Autorità per l'Energia e il Gas esprime alcune critiche sul recente decreto rinnovabili e fa qualche puntualizzazione sul fotovoltaico.

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Dopo sette anni passati all’Autorità per l’Energia e il Gas, Tullio Fanelli, lascia l’incarico di Commissario. In un’intervista di Gianni Silvestrini che sarà pubblicata integralmente sul prossimo numero della rivista QualEnergia, Fanelli fa il punto del settore energetico nazionale. Qui pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista in cui si affronta il recente decreto legislativo sulle rinnovabili e le sue implicazioni.  


 


Silvestrini – Tullio, cosa ne pensi del recente decreto legislativo sulle rinnovabili, credi che possa risolvere i problemi o ne crea di nuovi?


Fanelli – Penso francamente che molte delle 53 pagine del decreto legislativo potevano essere demandate a provvedimenti attuativi dell’Autorità o del Ministero, mentre ne mancano almeno tre che erano indispensabili per non determinare traumi al settore. In effetti lo spirito con il quale, come Autorità, avevamo da tempo segnalato le crescenti criticità del peso in bolletta delle incentivazioni alle fonti rinnovabili era proprio quello di evitare la formazione di una “bolla” che richiedesse poi necessariamente interventi traumatici. Purtroppo, come troppo spesso accade, le segnalazioni non sono state prese per tempo nella giusta considerazione e oggi si è intervenuti con un provvedimento che lascia molti punti interrogativi sul futuro delle rinnovabili.


La prima pagina che manca nel decreto è quella che avrebbe dovuto definire compiutamente il nuovo sistema delle aste, senza rinviare a successivi provvedimenti questioni cruciali quali la scelta tra un sistema di partecipazione libera e uno nel quale la definizione dei singoli progetti, dalla dimensione fino alla localizzazione, è attribuita alle amministrazioni centrali o locali. Al riguardo, credo che il sistema delle aste non sia quello che ha avuto i migliori risultati nel contesto internazionale ma, laicamente, dico che ogni sistema può produrre risultati a patto che sia ben definito e ben gestito.


La seconda pagina che manca nel decreto è una chiara ridefinizione del sistema di incentivazione del fotovoltaico: è chiaro che il rinvio ad un successivo decreto ministeriale apre una fase di incertezza, ma oltre a questo c’è il fatto che utilizzare uno strumento di minore rango rispetto al decreto legislativo, quanto meno rende meno affidabili le nuove regole che saranno definite. 


E qui veniamo alla terza pagina che manca, quella più importante. Come Autorità avevamo proposto che, nel caso non fosse stato possibile  riallocare il costo degli incentivi dalle bollette alla fiscalità generale, in modo da garantire criteri di progressività e proporzionalità nella suddivisione dell’onere da sopportare, fosse demandata all’Autorità stessa la gestione del meccanismo incentivante, ferma restando la competenza del Governo e del Parlamento in materia di determinazione degli obiettivi quantitativi e temporali per ciascuna fonte rinnovabile.


Questa proposta muoveva da una duplice evidenza: in primo luogo la gestione politica degli incentivi ha determinato una forte instabilità normativa, basti pensare ai frequentissimi interventi in materia di certificati verdi, con conseguente incremento della rischiosità del settore e dei relativi costi; in secondo luogo la maggiore “sensibilità” della politica ai “desiderata” degli investitori ha portato a definire sistemi di incentivazione sostanzialmente privi di limiti quantitativi sia in termini finanziari che di capacità incentivabile; qualunque sistema di incentivazione tende a divergere in questa situazione. E’ evidente quindi che una gestione degli incentivi esterna alla politica assicurerebbe da sola un forte efficientamento nell’utilizzo dei soldi dei consumatori.


Questa è la terza pagina che manca nel decreto legislativo, una pagina nella quale la politica si spogli con coraggio di compiti che non le sono propri e li affidi ad un soggetto come l’Autorità, in grado di svolgerli più efficacemente per il bene del Paese. Io credo che per scrivere queste tre pagine il primo passo sia condividere i dati, in termini di costi e di benefici, della situazione attuale.


Dopo sarà più facile, insieme anche agli operatori che sono entrati in questo settore non solo a fini meramente speculativi, ridefinire un sistema di incentivazione efficace e sostenibile. Fermi restando i diritti acquisiti, perché è inutile piangere sul latte versato, oggi è più che mai indispensabile,  per evitare un traumatico esito dell’esperienza degli ultimi anni, dare da subito una prospettiva di medio-lungo termine basata su una forte correlazione tra incentivi e benefici ambientali ed economici conseguibili.


 


Silvestrini – Ma cosa succederà se il fotovoltaico dopo il 2015 (o prima) raggiungerà la grid parity?


Fanelli – Ho sempre pensato che la “grid parity” sia un concetto opaco, che tende a nascondere le reali convenienze economiche e ambientali. Lo “scambio” tra i benefici economici e ambientali delle rinnovabili e i costi delle componenti del kWh connesse al servizio di trasporto e distribuzione e agli oneri di sistema è una semplificazione impropria: in alcuni casi, ad esempio per applicazioni di piccola taglia nei centri urbani, i cosiddetti “tetti fotovoltaici”, tale “scambio” può essere persino penalizzante, in altri, come ad esempio per i grandi impianti “a terra”, comporta una netta sopravvalutazione dei benefici.


Se quindi abbandoniamo tale schema concettuale e parliamo più semplicemente di convenienza economico-ambientale del fotovoltaico, credo la tecnologia attuale sia ancora ben lontana dal poter competere, almeno su larga scala, non solo con la produzione elettrica convenzionale ma anche con altre fonti rinnovabili. Né credo che la convenienza per gli impianti di grande taglia sia conseguibile solo attraverso fattori di scala, ovvero incrementando le realizzazioni attraverso gli incentivi alla produzione.


Per il grande fotovoltaico è necessario un salto tecnologico che può essere solo il frutto di un grande impegno di ricerca; in molti Paesi, a differenza che in Italia, le risorse per la ricerca nel fotovoltaico sono state molto aumentate: mi aspetto quindi che, forse anche presto, un nuovo fotovoltaico, magari basato sul grafene e sulle nanotecnologie, possa nascere con prospettive molto ambiziose. Purtroppo, per l’esiguità delle risorse impegnate, non mi aspetto che tale salto tecnologico avvenga in Italia, dove pure avremmo forse i migliori talenti per farlo. 

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