Anche negli Usa i francesi dell’Edf chiedono una mano

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Per costruire un reattore nel Maryland l'azienda francese chiede aiuti di Stato: acquisto garantito di elettricità e possibilità di scaricare i costi in bolletta. Le notevoli perdite economiche dell'Edf. Insomma l'ennesimo esempio di come in un mercato liberalizzato il nucleare non stia in piedi senza aiuti pubblici.

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Senza aiuti di Stato in un mercato liberalizzato il nucleare non sta in piedi. Su queste pagine lo abbiamo raccontato con diversi esempi. Il più recente arriva dagli Stati Uniti, precisamente dal Maryland. Qui Electricité de France – cioè Edf, la compagnia statale francese con cui anche la nostra Enel ha firmato un accordo per il rilancio dell’atomo in Italia – ha allungato la mano nuovamente per chiedere supporto pubblico, come aveva già fatto altrove (Qualenergia.it, Nucleare con stampella … statale).


Come riporta la stampa americana, i vertici dell’azienda francese, avrebbero chiesto garanzie particolari per riuscire a costruire un nuovo reattore nel sito di Clivert Cliff, dove Edf gestisce già altri due impianti assieme all’utility americana Constellation Energy Group, che però si è tirata fuori dal progetto di costruzione del terzo. Affinché si vada avanti con i lavori lo Stato americano dovrebbe impegnarsi a garantire una serie di aiuti: dall’acquisto dell’elettricità garantito alla possibilità di trasferire in bolletta sui consumatori i costi di costruzione.


Nel Maryland l’azienda francese, stando alle regole della Nuclear Regulatory Commission Usa, ha bisogno di un partner statunitense per poter costruire il reattore: ma, dopo il ritiro di Constellation Energy Group dal progetto, le altre utility non stanno propriamente sgomitando per mettersi nell’affare. La speranza è che appunto gli aiuti, sommati ai prestiti del fondo di garanzia federale per il nucleare, riescano ad attirare qualcuno.


Edf, spiega il consigliere d’amministrazione della società, Thomas Piquemal, ha bisogno di tutelarsi dal rischio delle oscillazioni nel prezzo dell’elettricità e dalle perdite in caso il prezzo scenda troppo, prima di poter costruire il reattore, che secondo stime terze dovrebbe costare circa 10 miliardi di dollari. In pratica un’ammissione, l’ennesima, che il nucleare, non è compatibile con un mercato liberalizzato dell’energia: richiede enormi investimenti che comportano rischi finanziari troppo alti.


Lo sa bene Edf che, come da bilancio 2010, nell’anno appena concluso ha perso circa 582 milioni di dollari per i progetti di nuovi reattori. Cinquecentododici milioni se ne sono andati solo per i ritardi del cantiere finlandese di Olkiluoto 3, quello che doveva essere il primo reattore di tipo Epr mai realizzato; oggi ha accumulato un ritardo nei lavori di quasi 4 anni con relativo raddoppio dei costi (da 3,3 a oltre 6 miliardi di euro, Qualenergia.it, Epr, il reattore ritardatario).


Su questo sito avevamo già raccontato le difficoltà delle utility americane con la costruzione delle centrali e i loro tentativi di scaricare i costi su consumatori e Stato. Si veda, ad esempio, la storia di Ameren, utility del Missouri che ha rinunciato ai suoi progetti nucleari perché non è riuscita a cambiare la legge statale che vieta di far pagare le centrali in bolletta ancora prima di costruirle (Qualenergia.it, L’anticipo della bolletta nucleare).


Il nucleare, proprio negli Usa patria del libero mercato, d’altra parte gode già ora di aiuti di Stato consistenti: soprattutto i fondi federali di garanzia sui prestiti, senza i quali difficilmente qualcuno presterebbe soldi a chi si imbarca nella costruzione di un reattore. L’ultimo budget dell’amministrazione Obama comprende l’autorizzazione di altri 36 miliardi $ di garanzie sui prestiti federali per il nucleare, che si vanno ad aggiungere ai 18,5 miliardi dollari già in cassa. Vedremo se questo darà una spinta a questa fonte: negli Usa da trent’anni non è entrata in funzione nessuna nuova centrale nucleare. In nessun Paese al mondo finora si è costruito un solo reattore senza il supporto del pubblico: se accadesse in Italia, come vorrebbero far credere i fautori dell’atomo nostrani, sarebbe un primato mondiale.

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