Decreto, banche preoccupate e associazioni in guerra

Il decreto Romani potrebbe essere letale per il fotovoltaico italiano. Finanziamenti bloccati, migliaia di posti di lavoro in pericolo, rischio di un effetto a catena sul sistema bancario, danno all'affidabilità del sistema-Paese. Un provvedimento “incostituzionale” contro cui le associazioni promettono di battersi legalmente e in piazza.

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Centocinquantamila posti di lavoro a rischio, banche che hanno già congelato i finanziamenti, investimenti persi e imprese che si apprestano a fare massiccio ricorso alla cassa integrazione. Le associazioni delle imprese del fotovoltaico lanciano l’allarme sulle conseguenze del decreto Romani sulle rinnovabili, approvato ieri in Consiglio dei Ministri. E si preparano alla guerra.

 

Il provvedimento che avrebbe dovuto recepire la direttiva europea – è il messaggio che esce dalla conferenza stampa tenuta oggi – rischia di essere un colpo mortale per uno dei pochissimi settori che stava reggendo la crisi. Inoltre, denunciano APER, Assosolare, Asso Energie Future e Gifi, il decreto è sbagliato nel merito e nel metodo e presenta “fortissimi profili di incostituzionalità”. La speranza è che il Presidente della Repubblica proprio per questo non lo firmi: se verrà delusa o meno si dovrebbe saperlo già nelle prossime ore. Nel caso il decreto passasse il Colle si pensa già ad ulteriori azioni legali e anche alla piazza.

 

Dei punti più criticati del provvedimento su queste pagine abbiamo già parlato (Qualenergia.it, Un nuovo decreto per gli incentivi al fotovoltaico): per il fotovoltaico sono la morte anticipata del terzo conto energia, che terminerà al 31 maggio sostituito da incentivi ancora da definire, e l’istituzione di un tetto annuale alle installazioni incentivabili. “Un cambiamento normativo in corso d’opera che mette a rischio un settore per dimensioni paragonabile a diverse FIAT” sottolinea Gianni Chianetta, presidente di Assosolare.

 

Le conseguenze economiche per il fotovoltaico italiano dipinte dalle associazioni sono pesanti: gli imprenditori presenti comunicano di aver già ricevuto dalle banche la comunicazione di un congelamento dei finanziamenti in seguito all’incertezza che il nuovo decreto lascia sugli incentivi. “Cassa integrazione per oltre 10.000 unità direttamente impegnate nel settore, blocco degli investimenti per i prossimi mesi di oltre 40 miliardi di euro, blocco delle assunzioni e perdita di qualificati posti di lavoro, blocco immediato gli ordinativi già in corso per un valore di circa 8 mld di euro e dei contratti già stipulati per circa 20 mld di euro. Tutti gli investitori nazionali e internazionali si sono fermati attendendo la pubblicazione di un nuovo sistema incentivante”, spiega Valerio Natalizia, presidente di Gifi.

 

“Gli imprenditori hanno già fatto gli investimenti; si rischia allora di non poter pagare i fornitori e il pericolo è quello di un effetto a catena che coinvolgerà anche il sistema bancario, dato che non si riuscirà a restituire i finanziamenti” avverte Pietro Pacchione, consigliere delegato di APER. Una preoccupazione che si sente anche nell’intervento di Pio Forte rappresentante di Unicredit Leasing presente alla conferenza. “Il fatto che un sistema incentivante varato ad agosto 2010 e che doveva essere garantito per 3 anni venga stravolto pochi mesi dopo potrebbe peggiorare il rating del rischio-Paese, scoraggiando gli investimenti non solo nel fotovoltaico italiano ma i,n Italia in generale”, avverte il delegato Unicredit citando le critiche al decreto Romani espresse dall’Associazione banche estere (Aibe) e dall’Associazione italiana leasing (Assilea). Anche l’Associazione banche italiane (Abi) “in questo momento rallentata da particolari rapporti istituzionali”, spiega, affronterà la questione in un incontro il prossimo 16 marzo”.

 

Un provvedimento, insomma, difficile da digerire. Anche perché non si crede che serva, come ha dichiarato il ministro Romani, a ridurre le bollette  “Gli italiani pagano l’1,6% per il fotovoltaico contro l’8% dei tedeschi. E la Germania ha un obiettivo al 2020 di 52 GW mentre l’Italia parla di fermarsi a 8. Molti più soldi vanno ad esempio al Cip 6”. “Si è preferito tutelare gli interessi di altri che pesano sulla bolletta – denuncia Massimo Daniele Sapienza, presidente di Asso Energie Future – come quelli dell’elettro-nucleare, delle grandi acciaierie che ricevono sconti per i loro consumi, di chi benificia del Cip 6. Tutto ciò a scapito di un settore giovane e con relativamente pochi appoggi”.

 

Quello che denuncia Sapienza è “una mancanza di democrazia nel metodo con cui si è deciso: senza tenere conto del parere di Camera e Senato”. E l’eccesso di delega è proprio uno dei motivi per il quale il decreto, secondo le associazioni, sarebbe anticostituzionale: “In sostanza, il Parlamento ha delegato il Governo a recepire la direttiva europea a favore delle rinnovabili, ma il Governo non ha in nessun modo recepito i pareri espressi dalle Commissioni Parlamentari, cioè dall’istituzione delegante.”

Altri ancora poi i profili di incostituzionalità rilevati, spiega Pacchione: “Il decreto è palesemente illegittimo sotto il profilo costituzionale in quanto viola uno dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico che è la certezza del diritto e la tutela dell’affidamento ed è in contrasto altresì con le norme internazionali della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Inoltre è un atto arbitrario del Governo, senza l’intesa delle Regioni che si sono pronunciate su un testo sostanzialmente diverso da quello approvato dal Consiglio dei Ministri. Sono state inoltre violate le prerogative parlamentari e, in particolare, la delega conferita al Governo. In altre parole il governo ha adottato un testo con finalità opposte a quelle fissate dal legislatore” (si veda anche Qualenergia.it, Appello al Presidente “Il decreto rinnovabili è incostituzionale”).

 

Ora l’appello al Presidente della Repubblica affinché rispedisca al mittente il decreto è stato lanciato. Cosa succederà se Napolitano non lo raccoglierà? Si avvierà una battaglia legale che passerà per le Regioni, per gli organi della giustizia amministrativa e per quelli della giustizia comunitaria. Se ciò avvenisse il settore dovrebbe comunque rassegnarsi a restare paralizzato per mesi e mesi finché la giustizia avrà il suo corso. L’altra via ipotizzata, anche parallela, è quella di una mobilitazione di piazza.

 

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