Punto critico

Il sistema energetico italiano ha ancora troppi aspetti irrisolti: il ritorno al nucleare, un mix energetico che punta ancora sul carbone, la mani della mafia sulle rinnovabili, l'inadeguatezza del governo, l'ambientalismo in ordine sparso su rinnovabili e territorio. Un articolo di Massimo Serafini di Legambiente, pubblicato sul primo numero del 2011 della rivista QualEnergia.

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Sono numerose le ragioni che consigliano a una classe dirigente di investire le risorse scarse a disposizione nello sviluppo delle fonti rinnovabili e nella promozione di usi razionali ed efficienti della stessa. Ricordo le due principali: la crescente incapacità dell’offerta di fonti energetiche fossili a coprire una domanda di energia in costante aumento e l’aggravarsi della crisi climatica del Pianeta. La prima è alla base della crescita esponenziale del prezzo del petrolio, con conseguente aggravamento delle tensioni internazionali che, a loro volta, determinano un riarmo diffuso, compreso quello atomico. Pensare di risolvere questo drammatico nodo della scarsità di fonti fossili a disposizione producendo un po’ di elettricità con il nucleare, cioè con un altro combustibile non rinnovabile, avrebbe come unico risultato quello di accelerare l’esaurimento dell’uranio, oltre che testimoniare l’assoluta inadeguatezza di chi avanza questa proposta.

Per quanto riguarda i cambiamenti climatici gli avvenimenti della scorsa estate offrono un’ulteriore conferma del riscaldamento globale (il 2010 è l’anno più caldo da quando esistono misurazioni affidabili) e dell’esattezza delle previsioni contenute nei quattro rapporti sul clima dell’IPCC, in particolare quella sull’aumento degli eventi estremi: devastanti alluvioni nell’Europa centrale, più a oriente, in Russia, un’eccezionale siccità che ha provocato devastanti incendi di boschi e torba e infine, ancora più a oriente, alluvioni nell’Asia meridionale e in Cina.
Nonostante la forza di questi argomenti, stenta ancora a imporsi, nella generalità dei decisori politici, con la parziale eccezione di una parte di quelli europei, quella svolta nelle politiche energetiche capace di spingere il Mondo a produrre energia con le fonti rinnovabili che, insieme all’organizzazione di usi razionali ed efficienti della stessa, porterebbero l’umanità fuori dalla dipendenza dalle fonti energetiche non rinnovabili, nucleare compreso.

Scrivo dopo l’ennesimo vertice sul cambio di clima tenutosi a Cancun che – sebbene alcune novità positive, come la maggiore apertura della Cina ad assumere impegni – non è riuscito però a ridurre minimamente il drammatico divario che c’è fra l’accelerazione dei cambiamenti climatici e la paralisi irresponsabile dei cosiddetti “potenti della Terra” nel prendere decisioni in grado di fronteggiarlo. Certo negli ultimi dieci anni molte cose sono cambiate e qualche risultato è stato ottenuto: le fonti rinnovabili si sono imposte, anzi, spesso sono state la base di numerose scelte di politica economica con cui vari Governi hanno tentato di fronteggiare la crisi economica e finanziaria che ha messo in ginocchio il Mondo. Sebbene questo risultato, siamo molto lontani dall’avere intaccato l’egemonia delle fonti fossili e del modello energetico che ne è alla base. Né pare scongiurato il pericolo che, fra le fonti sostitutive di quelle fossili, venga scelto il nucleare.

In questo contesto contraddittorio e tendenzialmente negativo si colloca il disastro italiano, caratterizzato dal prevalere, nella maggioranza che governa, di convinzioni che negano l’esistenza stessa del cambio di clima, da cui conseguono scelte energetiche che, da un lato, consolidano un mix energetico a forte prevalenza fossile, carbone compreso e, dall’altro, puntano a riportare l’Italia nella sciagurata avventura nucleare.

Il quadro si fa ancora più negativo se si aggiunge la scelta di puntare a un irrazionale aumento dei consumi energetici, con la conseguente penalizzazione di qualsiasi politica di efficienza e sufficienza energetica. Non serve ribadire, questa testata lo ha fatto più volte, né la ferita alla democrazia che un ritorno al nucleare rappresenterebbe (se ne uscì con un referendum) né le svariate ragioni di sicurezza, costo, incapacità di smaltire le scorie, legami col militare, per cui ci si oppone a questa scelta. Più utile è individuare gli strumenti con cui far crescere, nella popolazione e nelle forze politiche di opposizione, non solo il rifiuto di questa tecnologia e più in generale delle fonti non rinnovabili, ma l’esigenza di una proposta energetica alternativa.

Si assiste invece a una vera e propria campagna volta a bloccare lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Non colpisce che a condurla sia in primo luogo Berlusconi e il suo Governo, né stupisce più di tanto che a essa diano una mano Enel ed Eni. Meno scontati e prevedibili sono invece la “latitanza energetica” delle opposizioni e soprattutto il fatto che a questa campagna si siano accodati numerosi ambientalisti, che nei convegni sono fra i più feroci critici del modello energetico non rinnovabile nonché dei suoi consumi irrazionali, ma poi nella pratica appoggiano quasi sempre chi rifiuta l’installazione di pale eoliche, pannelli termici e fotovoltaici, per non parlare delle centrali a biomasse. Fino a ora la reazione a questa campagna è stata difensiva e timida.

Di fatto, più che crescere un movimento contro la decisione di tornare al nucleare aumentano le divisioni sulla sua principale alternativa: le rinnovabili. Questa situazione va superata.
Se non si vuole compromettere l’esito dello scontro sul nucleare è necessario dare una speranza al Paese, facendo crescere sul territorio il consenso a un modello energetico distribuito, basato sullo sfruttamento delle rinnovabili e sulla promozione del risparmio energetico. Certo, ben difficilmente ci si riuscirà, se si alimenta fra le cittadine e i cittadini la diffidenza verso le rinnovabili perché progettate male oppure a causa delle infiltrazioni malavitose e, infine, per i fenomeni di corruzione che hanno colpito una parte – credo minima – delle installazioni realizzate. Sia ben chiaro: non si propone di chiudere un occhio su questi fenomeni degenerativi. L’illegalità va colpita ovunque, anche se la si commette per realizzare un campo eolico o per installare un impianto solare.

Bene dunque ha fatto la puntata della trasmissione di Rai Tre, Report, dello scorso 28 novembre a denunciarne la presenza. È sulla finalità di questa denuncia che va fatta chiarezza: un conto è farla per chiedere di rafforzare i controlli, invocare e produrre regole più precise, appoggiare la mobilitazione sociale contro le ecomafie, ripensare soprattutto il sistema degli appalti, la struttura degli incentivi, promuovere un forte rinnovamento della pubblica amministrazione, altro è invece farla per screditare e bloccare lo sviluppo delle fonti rinnovabili e con esso il progetto di liberare il Paese dalla dipendenza dal fossile e dal nucleare.

Perché, mi chiedo, meravigliarsi che mafia, camorra e corruttori cerchino di mettere le mani sulle rinnovabili? È noto che uno dei business principali della malavita organizzata è mettere le mani sulla spesa pubblica. Così com’è risaputo che il sistema di regole che governa gli appalti pubblici è facilmente vulnerabile, anche per la corruzione presente nelle alte sfere della pubblica amministrazione. Paradossalmente, però, questo interessamento per le rinnovabili, tanto diffuso da raggiungere anche mafia e camorra, segnala anche un fatto positivo e cioè che in questi anni sono uscite dalla clandestinità e dalla marginalità e sono diventate un affare conveniente su cui investire. Magra consolazione se poi l’indubbia crescita delle rinnovabili non solo è inquinata, ma a essa non corrisponde neppure il consolidarsi di quel modello distribuito che fa dell’energia catturata al sole, al vento, ai residui dei boschi, un bene comune e non una merce.

Hanno, in poche parole, trovato più spazio coloro che colonizzano il territorio agricolo con pannelli solari o riempiono interi crinali con gigantesche pale eoliche, riproducendo in definitiva lo stesso meccanismo centralizzato delle grandi centrali attuali. Può essere però questa una ragione sufficiente per rinunciare all’obiettivo strategico di fare uscire questo Paese e l’intero Pianeta dalla dipendenza delle energie sporche e non rinnovabili? Sarebbe un errore.

Passare, infatti, dalle energie non rinnovabili a quelle rinnovabili è comunque indispensabile, al di là del modello energetico nel quale si collocheranno. Nessuno si nasconde, né sottovaluta, che le rinnovabili sono inserite in un contesto capitalistico e di libero mercato e quindi la spinta a farle diventare merci è fortissima, quanto i tentativi di inquinamento da parte della malavita. Con questa contraddizione è necessario però convivere perché la scelta delle energie alternative è resa necessaria dalla crisi climatica e da ragioni di pace (il tendenziale esaurimento di petrolio, carbone, gas e uranio farà crescere le spinte alla guerra per impadronirsi delle ultime riserve). Interessati allo sviluppo delle rinnovabili non ci sono solo delinquenti, avventurieri e speculatori, ma anche persone oneste che però, più che alla democrazia energetica, pensano, investendo nelle risorse solari, di realizzare profitti. Sono nemici oppure con loro si può fare un pezzo di strada comune, quella che porta fino all’uscita dal fossile e dal nucleare? In altre parole, uniti per affermare le rinnovabili e contemporaneamente in aperta competizione sul modello energetico, distribuito o centralizzato, in cui dovranno crescere.

Si parla molto di un sistema italiano di incentivi per le rinnovabili troppo generoso. Perché non sperimentare l’unità fra tutti coloro che vogliono le rinnovabili per rivendicare un sistema di regole che incentivi meno il solare concentrato e più quello diffuso sui tetti, come fa la legge tedesca, ma anche quella di iniziativa popolare promossa da cittadine e cittadini impegnati in associazioni e movimenti, a cominciare da quello sindacale, sulla quale si sono raccolte oltre centomila firme e che è già stata depositata in Parlamento?

Senza nascondersi il peso e la forza di questi scomodi compagni di viaggio, vorrei dire che questa alleanza è soprattutto imposta dalla realtà. Sentendo a volte le polemiche contro il solare a terra, ma anche contro l’eolico, ho la sensazione che chi le fa stia pensando a un’Italia inesistente: i cui Appennini sono stati invasi di pale eoliche, i terreni agricoli ricoperti di pannelli solari, le foreste completamente disboscate, quasi che sole, vento e biomasse fornissero gran parte dell’energia di cui la società necessita. La realtà è purtroppo un’altra. Il nostro crescente fabbisogno è coperto al 94% da un mix fossile, carbone compreso, a cui il Governo pensa di aggiungere il nucleare.

Ciò che voglio dire è che la lotta per l’egemonia con i “ladri di vento” e gli “occupa-suolo” è per ora una lotta marginale, su un pezzo molto piccolo del nostro sistema energetico. Tutto il resto sono battaglie perse e forse mai fatte, a cominciare da quella per impedire che una quota del fabbisogno energetico fosse coperta dal climalterante e inquinante carbone. Fra le lotte mai fatte c’è anche quella sul risparmio energetico, che tante “anime belle” contrappongono alle rinnovabili. Alla faccia della bioedilizia, milioni di famiglie si sono dotate di condizionatori che penzolano orrendi dalle finestre di case e uffici, in periferie degradate come in centri storici di pregio, nella completa indifferenza delle Sovraintendenze che invece bloccano i deturpanti pannelli solari.

Qualcuno ha visto l’insurrezione dei talebani del paesaggio, per impedire questo scempio o, più realisticamente, ci si è limitati a comprare il condizionatore più efficiente? L’incubo non è un territorio occupato da pannelli solari e pale eoliche o disboscato per avere energia, ma l’ulteriore diffondersi di ciminiere che pompano veleni e CO2 in atmosfera, insieme all’arrivo delle centrali nucleari e a un’ulteriore espansione irrazionale dei consumi energetici. Per evitare che questo incubo diventi realtà non basta un movimento di “duri e puri”, ma va costruita una mobilitazione sociale ampia e inclusiva, con le sue contraddizioni e la sua dialettica, ma unita sull’obiettivo di portare il Paese a una scelta rinnovabile che lo liberi dal petrolio e da tutte le fonti energetiche non rinnovabili, progetto che può aiutare anche a liberare il Paese da Berlusconi.

 

articolo pubblicato sul n.1/2011 della rivista QualEnergia

 

 

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