Dal modello ‘tutto auto’ alla mobilità sostenibile (parte 2)

L'auto è in crisi ed è sempre più urgente puntare sulla mobilità sostenibile. Questa conversione richiede idee e progetti che dovrebbero essere sostenute dalle istituzioni pubbliche e dal Governo. Quali le linee guida per questa rivoluzione? La seconda parte di un articolo di Anna Donati, responsabile del Gruppo di Lavoro "Mobilità Sostenibile" del Kyoto Club. Trasporto collettivo e produzione di veicoli.

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La prima parte dell’articolo


Il Governo italiano ha tagliato le risorse per il trasporto collettivo su ferro (circa 20%) e le Regioni alle prese con i tagli della manovra Tremonti stanno ridimensionando anche il trasporto su autobus e/o aumentando le tariffe per il mantenimento dei servizi esistenti. Insomma, nessun piano di efficienza serio del settore che riduca i costi, innovi servizi e rilanci il settore.

Allo stesso modo una forte innovazione è richiesta nei servizi di trasporto delle persone a domanda individuale dato che solo una parte di spostamenti può essere risolto a costi accessibili con il trasporto collettivo. L’obiettivo è quello di non vendere automobili in proprietà ma di vendere servizi di trasporto in auto, come il caso del carsharing, dell’autonoleggio “facile”, del taxi collettivo e del noleggio con conducente. Qui c’è uno spazio di innovazione e servizi ad iniziativa privata autentico, che non riesce a decollare e che anzi viene ostacolato sia per inerzia e sia dalle rendite di posizione. Ma non mancano segnali incoraggianti come i circa 900 mobility manager occupati in aziende private (Euromobility – Associazione Mobility Manager. Stato dell’arte del Mobility Management in Italia) e uffici pubblici nati negli ultimi anni e la recente Centrale di Mobilità inaugurata a Milano promossa da Legambiente, che aiuta il cittadino ad orientarsi verso la mobilità intelligente .

Nel trasporto merci le cose non vanno meglio, con il trasporto ferroviario in caduta libera, il sistema portuale impantanato con una riforma che si attende da anni ma soprattutto senza l’autonomia finanziaria che gli consenta di pianificare gli investimenti e strategie convincenti per competere nel mediterraneo (vedi la crisi recente nel porto di Gioia Tauro), poche le briciole destinate all’ecobonus per il trasporto combinato ma ben 400 milioni per il 2011 di aiuti all’autotrasporto su strada. Insomma la solita strategia di grandi aiuti all’autotrasporto, ben 5 miliardi in 10 anni (Il sole 24 Ore Trasporti. Razza Padroncina. Dieci anni di autotrasporto 2000-2010. A cura di Deborah Appolloni ) e quasi nulla a tutto il resto, nonostante che il recente Piano Nazionale della Logistica 2011-2020 adottato dalla Consulta istituita dal Governo, indichi 50 azioni concrete in parte utili per promuovere efficienza e intermodalità, che con queste politiche sono destinate a restare sulla carta.

Passiamo adesso al sistema di produzione dei veicoli, direttamente coinvolto nel caso Fiat, con un dibattito che oltre sul lavoro, diritti e democrazia, non può che coinvolgere la produzione e il sistema industriale, come ha fatto di recente lo speciale de Il Manifesto e Sbilanciamoci. Attualmente sono impiegati 130.000 addetti complessivi nel “sistema automobile” , mentre tutto il segmento di produzione degli autobus ne occupa circa 10.000 , quello del ferroviario e tramviario (tra grandi aziende e indotto) circa 15.000, infine il mondo delle due ruote (moto, ciclomotori e bicicletta) che occupa circa 13.500 addetti alla produzione (Ancma – Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori) .

Se vogliamo parlare di riconversione del sistema, da un lato dobbiamo indurre un ridimensionamento del sistema auto, che comunque manterrà sempre una quota significativa di produzione, sia per il mercato sostitutivo e sia per l’innovazione di prodotto e di servizi, con un’auto a basse emissioni, sicura, riciclabile, ad energia rinnovabile. Un veicolo che ancora non c’è e che richiede un progetto di ricerca pubblico/privato credibile, che coinvolga centri di ricerca, università, intelligenze, legato direttamente alla soluzione del problema dei carburanti dopo la fine del petrolio.

Evitando facili e inutili promesse risolutive a cui abbiamo assistito in questi anni prima con l’auto a idrogeno (che è un vettore e non una fonte energetica), poi con l’auto a mais ed etanolo (che però ha il non piccolo problema di richiedere un’inaccettabile riconversione delle produzioni agricole dall’alimentazione all’automobile, con la riduzione delle foreste e della biodiversità, per far posto alla canna da zucchero). Infine, l’auto elettrica oggi tornata di gran moda, che tra limiti delle batterie, dell’autonomia funzionale e della produzione elettrica (non ci sarà dietro la spinta al nucleare per caso?) non è al momento in grado di rispondere alle promesse di un ‘auto “sostenibile” (Friends of the Earth Europe – Greenpeace – TE Transport & Environment. “Energia Verde per le auto elettriche”, febbraio 2010) . Non voglio con questo denigrare le ricerche interessanti in corso con successi e insuccessi, ma sottolineare che in realtà queste soluzioni non sono vicine e anche per questo è fondamentale che un progetto di ricerca stia all’interno di una strategia industriale del Governo e promosso anche con risorse pubbliche.

L’altra strategia essenziale nel settore industriale è puntare all’aumento della produzione di autobus, di treni, tram, tutti segmenti produttivi che oggi sono in forte sofferenza sia perché mancano investimenti pubblici per l’ammodernamento dei mezzi di trasporto collettivo e sia perché questo alimenta la debolezza delle nostre imprese nella concorrenza globale. Nonostante punti di vera eccellenza come Ansaldo STS nel sistema del segnalamento ferroviario, azienda primaria a livello mondiale che continua a vincere gare in tutto il mondo. Mentre AnsaldoBreda, azienda storica di Pistoia per la costruzione di treni, è in difficoltà, forse adesso un poco sollevata dall’aver vinto nel 2010 la gara in alleanza con Bombardier da 1,5 miliardi indetta da Trenitalia per la fornitura di 50 treni ad Alta Velocità. Ma nessun investimento significativo sta arrivando nel settore del trasporto ferroviario metropolitano e regionale; anzi per coprire i buchi del taglio al servizio ferroviario pendolare il Governo ha dirottato le scarse risorse (460 milioni) destinate ai treni. Quindi ormai del necessario piano per i 1000 treni per i pendolari del costo di 6 miliardi (come il ponte sullo Stretto!) è rimasto ben poco.

Sappiamo bene che gli investimenti pubblici devono essere messi a gara ed è giusto che vinca il migliore a livello mondiale, ma in Italia manca completamente una strategia industriale per questi settori, che aggreghi imprese e indotto ( con incentivi fiscali per esempio) e metta le nostre aziende in grado competere a livello mondiale: quello che fa il Governo in Francia con Alstom (26.000 addetti) o il Canada con Bombardier (28.644 addetti).
E quando si investe i risultati si vedono. Grazie alla strategia lungimirante dell’ex assessore ai trasporti della regione Campania, Ennio Cascetta, che ha puntato sul sistema di metropolitana regionale e ha investito in dieci anni circa 300 milioni per il nuovo materiale rotabile, la filiera delle costruzioni ferroviarie campana che ha vinto le gare indette da EAV (holding trasporti della Regione) ha incrementato fatturato e addetti . Dal 2004 al 2008 è passata da 3.284 a 4.068 lavoratori, mentre il settore automobile nello stesso periodo è diminuito da 18.500 a 16.900 addetti. Ed ora le stesse aziende hanno vinto con lo stesso prodotto una significativa commessa in Brasile.

Il settore autobus vive una crisi molto seria perché si è smesso di investire nell’ammodernamento dei mezzi di trasporto collettivo su strada. Il Governo non investe, le Aziende non hanno risorse per i nuovi veicoli ed è stata abbondata la strategia di anni passati che aveva abbassato l’età media del parco autobus: adesso siamo a 9,3 anni di media contro i 7 anni della media europea (www.asstra.it). Anfia Autobus ha chiesto con forza al Governo di riprendere gli investimenti perché ne hanno bisogno le aziende e i loro occupati, ci guadagnano gli utenti e migliorano le prestazioni ambientali.

Anche la vendita delle due ruote, cicli e motocicli, sta vivendo una crisi evidente, con una piccola ripresa della bicicletta seguito degli incentivi assicurati dal governo nel 2009, nonostante che vi sia molto interesse e disponibilità da parte dei cittadini verso queste modalità sostenibili. Oltre ai 13.500 addetti del settore nella produzione, Ancma stima che in Italia siano circa 90.000 le persone impiegate nella commercializzazione, riparazione e accessori di prodotti legati alla bicicletta, moto e scooter: si tratta dunque di numeri significativi. C’è un problema di diffusione della bicicletta che ha grosse potenzialità nelle città italiane e di recente il Bike Sharing è diventato una piccola realtà anche per il nostro paese , ma bisogna dedicare spazio sicuro alle due ruote con corsie, piste e strade riservate alle bici. Di nuovo abbiamo troppe auto in circolazione nelle nostre città con 60 veicoli ogni 100 abitanti, mentre Germania, Francia, Spagna si aggirano su 50 veicoli ogni 100 abitanti.


 


La terza e ultima parte dell’articolo


 

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