Le sfide del Green Deal britannico

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Gli obiettivi, le politiche e gli strumenti del Governo britannico per gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra presentati ieri a Roma nel corso di un convegno organizzato dall'Ambasciata britannica in collaborazione con il Kyoto Club. Decarbonizzazione del sistema elettrico, infrastrutture ed efficienza nelle abitazioni.

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Nel corso del convegno organizzato a Roma dall’Ambasciata britannica in collaborazione con il Kyoto Club dal titolo “Going for Green: the Challenges for the Future” si è discusso di strategie e strumenti per una transizione energetica a basso contenuto di carbonio. Interessante è stato il quadro delle politiche della Gran Bretagna presentate da Chris Dodwell, capo della politica di mitigazione del Department for Energy and Climate Change (DECC).

Il governo britannico, ha spiegato Dodwell, punta a ridurre in maniera vincolante del 34% le emissioni di gas serra entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990 e dell’80% entro il 2050 (Climate Change Act del 2008). Inoltre, sempre per il 2020, ha come obiettivo di coprire il fabbisogno di energia con il 15% di fonti rinnovabili entro il 2020 (30% di rinnovabili per il fabbisogno elettrico).

Va detto che il Regno Unito ha già tagliato le proprie emissioni di CO2 di circa il 26% rispetto al 1990. Il percorso verso questi ambiziosi targte dovrà puntare su alcuni aspetti chiave a partire soprattutto dalla decarbonizzazione del settore elettrico e da una notevole riduzione della domanda di energia. Poiché si punterà molto sull’offerta di elettricità, che sarà raddoppiata (forte impegno anche su nucleare e impianti CCS), un passaggio fondamentale sarà l’elettrificazione dei settori del riscaldamento, dei trasporti e dell’industria. L’ampio ricorso alle fonti rinnovabili, per loro natura con produzione intermittente, comporterà ovviamente una notevole ristrutturazione delle reti elettriche. Importante anche la diffusione delle bioenergie, mentre quella delle fonti fossili sarà legata al concreto sviluppo delle tecnologie di cattura e sequestro della CO2 (dettagli: http://2050-calculator-tool.decc.gov.uk).

L’investimento richiesto per il settore elettrico sarà ingente: 230 miliardi di euro per le infrastrutture energetiche e 128 miliardi di euro per la generazione e la trasmissione, cercando però di mantenere le tariffe dei consumatori ai livelli più bassi possibili. Un ruolo importante lo avrà la Green Investment Bank creata per attivare investimenti privati aggiuntivi e soprattutto per assumersi rischi che il mercato non sarebbe in grado di prendere, ad esempio per tecnologie molto innovative.

Un altro punto forte del “Green Deal” britannico è l’efficientamento del settore edilizio (costituito da 26 milioni di abitazioni, di cui il 75% costruito prima del 1985) responsabile per il 23% delle emissioni di gas serra del paese. Di questa quota circa l’82% è causato dai sistemi di riscaldamento per l’acqua e l’ambiente, aspetto che vale anche per l’edilizia pubblica, commerciale e industriale. E’ al via anche un’iniziativa interessante per ridurre le bollette delle abitazioni inglesi senza costi per chi vi abita né per lo Stato, generando un volume potenziale di investimenti privati di 7 miliardi di sterline all’anno (8 mld di €) che in un decennio si dovrebbero tradurre in 250mila nuovi posti di lavoro. In questo nuovo schema incentivante a farsi carico degli interventi per migliorare l’efficienza energetica degli edifici sarebbero le stesse utility che poi recupererebbero i costi direttamente dal risparmio energetico nelle case servite.

Dal convegno di Roma è emerso che la Gran Bretagna ha una sua visione, un piano e un crono programma per il raggiungimento di questi obiettivi, tutti elementi che dovranno entrare in sinergia con lo sviluppo dell’industria nazionale dei settori della green economy. Matt Jackson, capo del Team Europeo per il basso tenore di Carbonio del Foreign and Commonwelath Office, ha mostrato come questi settori abbiano nel paese un giro d’affari di circa 130 miliardi di euro (dato 2008-2009) con un’occupazione di 900mila addetti che nel 2015 saranno 400mila in più.

Nel corso dell’apertura del convegno la posizione dell’Italia sulla questione della transizione energetica e degli obiettivi 2020 è stata illustrata da Corrado Clini, direttore generale del Ministero dell’Ambiente, che ha focalizzato il suo intervento sulla necessità di avere validi strumenti da adottare per ridurre effettivamente le emissioni più che vuoti e rigidi target. Tra questi strumenti ha considerato, per la sua potenziale efficacia, un prezzo fisso e trasparente della CO2 per tutti gli Stati europei in grado così di orientare industria e consumi energetici, meglio del sistema di emission trading europeo (ETS). Mario Gamberale, in rappresentanza del Kyoto Club, ha sottolineato come normative e incentivi ben costruitu e un sostegno del sistema-paese possano dirottare gli investimenti delle industrie nei settori dell’innovazione, dell’efficienza energetica e delle rinnovabili, un processo però ancora complicato nel nostro paese.

Sempre sulla Gran Bretagna ci piace ricordare uno studio del 2010 del CAT (Centre for Alternative Technology) che analizza come si possano abbattere totalmente le emissioni del paese in circa 20 anni. Il documento, “Zero Carbon Britain 2030“, già pubblicato nella sua prima versione nel 2007, spiega come la Gran Bretagna entro il 2030 possa passare da 637 milioni di tonnellate di CO2 equivalente di emissioni del 2007 a zero. Uno scenario che prende in considerazione tutte le soluzioni per ridurre i gas serra, dall’efficienza energetica alle rinnovabili, ma niente fonti fossili e solo un po’ di nucleare residuo (Qualenergia.it, Zero Carbon Britain, la strada per le emissioni zero al 2030).
 

 

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