Il polo industriale di Portovesme e i suoi veleni

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Una lettera di cittadini di Carloforte, Isola di San Pietro nel sud-ovest della Sardegna, espone tutte le preoccupazioni sulla grave situazione di inquinamento dell'area che si trova a pochissimi chilometri dal grande polo industriale di Portovesme. Agli amministratori si chiede soprattutto maggiore trasparenza nel monitoraggio ambientale dell'area.

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Alcuni cittadini di Carloforte, località dell’isola di San Pietro nel sud-ovest della Sardegna (che si firmano “Carlofortini preoccupati”) ci scrivono per esprimere il loro forte timore riguardo la situazione ambientale dell’area.
A pochi chilometri dall’isola, come forse molti sanno, c’è un vasto polo industriale con circa 3500 occupati, quello di Portovesme, che ospita oltre ad un porto industriale e commerciale, un’area industriale specializzata nella metallurgia non ferrosa: allumina da bauxite nello stabilimento Eurallumina, alluminio primario nello stabilimento Alcoa; zinco, piombo e acido solforico da minerale nello stabilimento Portovesme srl; oro e argento da minerale nello stabilimento Portovesme srl di San Gavino Monreale.
A tali impianti si aggiungono quelli per la produzione di laminati e profilati di alluminio e la centrale termoelettrica ENEL da 720 MW alimentata a carbone, dove si sono avute, anche di recente, perdite di combustibile.

Per questi cittadini sembra dunque inspiegabile che l’isola non rientri nell'”Area ad elevato rischio di crisi ambientale del Sulcis Iglesiente”, sebbene Carloforte sia distante solo 10 km dal polo industriale, che già comprende i comuni di Portoscuso (0 km), Gonnesa (9 km), Carbonia (11 km), San Giovanni Suergiu (13 km) e San’Antioco (15 km). Le preoccupazioni sono legate ovviamente al forte impatto sul territorio e sulla salute visto che da anni si sta registrando un aumento di patologie tumorali, cardiovascolari, tiroidee e dell’apparato respiratorio.

Nello specifico i cittadini di Carloforte lamentano che nei terreni dell’isola di San Pietro si riscontrino anche altissime concentrazioni di metalli pesanti, come ferro e alluminio; per quest’ultimo più di 100 gr per 1 kg di terreno (la normativa non prevede limiti).
Ma il fatto scatenante risale ad agosto-settembre 2009 quando ci fu una fuoriuscita di fluoro e di altre sostanze non identificate dagli stabilimenti dell’Alcoa e un gruppo di Carlofortini chiese un monitoraggio ambientale al Comune di Carloforte.

Vennero fatte delle analisi episodiche di acque superficiali e terreni dalla società Edam – Soluzioni ambientali srl di Gallarate e da questi campionamenti emersero i dati poco rassicuranti già citati e pare molte omissioni, a dire dei cittadini di Carloforte.
In particolare, in un campione di acqua analizzata i fluoruri sono risultati pari a 2,7 mg/l, quando il valore limite di comprovata tossicità è di 1,5 mg/l. In caso di ingerimento di fluoro si rischiano malformazioni dello scheletro e cattiva funzionalità dei denti (fluorosi). Un segnale evidente potrebbe essere quello degli agnelli deformi delle campagne di Paringiannu, afflitti da fluorosi cronica.

Dalla lettera dei carlofortini non si capisce se tutti questi dati sia stati effettivamente omessi dalla relazione prodotta dalla società Edam. Sta di fatto che Patrizia Congiu, Assessore alla Sanità del comune di Carloforte nel corso del consiglio comunale del 19/10/2009 in una dichiarazione rilasciata alla stampa e comparsa su La Nuova Sardegna del 29/10/2009, sostenne: “a Carloforte nessun rischio da fluoro dell’area industriale di Portovesme”, e ancora, “la Salute della popolazione carolina non corre nessun serio pericolo derivato dalla vicinanza del polo industriale, tanto meno per la recente fuoriuscita di fluoro dall’Alcoa”.

Ma la relazione della Edam ometterebbe, secondo i cittadini dell’isola sarda, anche la presenza di alcuni metalli riscontrata in numerose località dell’isola, in particolare stagno e berillio. Lo stagno (i cui composti organici sono tossici) risulterebbe con valori superiori a 40 volte i limiti di legge (41,0 mg/kg con un valore limite 1 mg/kg); il berillio presente (sostanza tossica e cancerogena) avrebbe valori di <2,1 mg/kg (valore limite 2 mg/kg).

Sono però molti altri i metalli rilevati nei terreni e con concentrazioni elevate, vicine al limite previsto per legge. E’ il caso del tallio (molto tossico, per cui in passato il suo uso in prodotti di largo consumo è stato bandito), dell’antimonio (metallo tossico che ad alte dosi può addirittura provocare la morte nel giro di pochi giorni) e ancora di cadmio, mercurio, piombo, zinco e cromo esavalente.
Anche se in alcuni casi non si superano i limiti di legge, la presenza di queste sostanze, tutte tossiche e/o cancerogene, meriterebbe ulteriori analisi per poterne determinare l’origine, quasi certamente antropica.
Anche la frutta sembra non sia esente da questa contaminazione. Nella lettera inviataci gli isolani spiegano che già negli anni Novanta “17 carlofortini su 20 sottoposti ad analisi presentavano elevate quantità di piombo nel sangue”.

Per quanto riguarda le acque superficiali analizzate emergono concentrazioni di ferro (ben 15 volte oltre i limiti di legge), manganese (quasi 4 volte i limiti di legge) e selenio (oltre 30 volte i limiti di legge). Altri metalli, di probabile origine antropica sono stati rilevati con concentrazioni vicine al limite previsto per legge e sono cadmio e arsenico.

Per completare il quadro non proprio “sostenibile” di un’area, che però a livello paesaggistico non esiterei a definire di una bellezza eccezionale, si deve ricordare che nell’ottobre del 2007 a Genova vennero fermati due tir carichi di scorie radioattive diretti in Sardegna per essere smaltiti negli stabilimenti della Portovesme Srl (La Nuova Sardegna del 23/10/2007). Oggi la stessa società e altre ad essa collegate sono indagate per un traffico di rifiuti tossici (gettati illegalmente nelle discariche di Serramanna e Settimo San Pietro e usati infine come comune “materiale di riempimento” in edilizia) per il quale sono sotto processo alcuni responsabili dell’azienda Portovesme Srl. Questa è di proprietà della multinazionale svizzera Glencore, già nota per problemi di inquinamenti in altre parti del mondo.

Se questa è la situazione ambientale di un’isola divisa dal polo industriale da un braccio di mare, seppur piccolo, ci chiediamo quale possa essere quella dell’area circostante su terraferma. Un’area che, sebbene sia la meno conosciuta della Sardegna, ha un potenziale di attrazione turistica molto interessante e che ha incantato chiunque abbia avuto la fortuna di visitarla. Per lo sviluppo turistico e soprattutto per la salute del territorio e di chi lo abita, gli amministratori locali devono sentirsi obbligati a mettersi dalla parte dei cittadini e, insieme, collaborare a chiarire il quadro ambientale dell’isola e dell’area tutta.

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