Usa-Cina, guerra su eolico e terre rare

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Gli Stati Uniti accusano di protezionismo la Cina, leader mondiale della green economy e la portano davanti al WTO. Contestatele restrizioni sull'export delle terre rare e gli aiuti all'eolico che danneggiano i produttori esteri di componenti.

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Scintille tra i giganti della green economy, Usa e Cina. La battaglia sul commercio tra i due si combatte anche sul campo delle tecnologie pulite:  nel low-carbon la concorrenza cinese spaventa. Gli Stati Uniti accusano di protezionismo il gigante asiatico, prima potenza mondiale dell’economia verde, e si rivolgono alla World Trade Organization (WTO) per chiedere giustizia. Sotto accusa gli incentivi cinesi alla produzione di turbine eoliche, che penalizzerebbero i produttori esteri e il fatto che Pechino limiti fortemente l’esportazione di terre rare, risorsa fondamentale per molte produzioni “cleantech” e controllata quasi totalmente dalla Cina.

L’accesso alle terre rare (dette anche metalli rari) come sappiamo (Qualenergia.it, La green economy e la carenza dei metalli rari) sarà un fattore cruciale per il low-carbon e l’hi-tech: sono essenziali per produrre batterie e magneti e ce n’è bisogno ad esempio per auto elettriche o ibride, turbine eoliche, computer e armamenti vari. E la Cina, che controlla il 97% della fornitura mondiale di terre rare, sembra averne ben chiara l’importanza strategica: tramite dazi e limitazioni all’export sta facendo di tutto per tenersi in casa le terre rare o comunque farle pagare molto care. Nel 2010 ad esempio ha ridotto del 40% la quantità di questi elementi destinata all’export – imponendo una vera e propria messa al bando di fatto verso paesi concorrenti come il Giappone – e ha annunciato un aumento delle tasse sull’esportazione per il 2011.

Una politica che, come ha fatto notare l’Ufficio Usa per il commercio estero, ha portato al rialzo i prezzi mondiali di alcuni metalli rari e comunque più alti rispetto al mercato domestico cinese, frenando lo sviluppo del “cleantech” negli altri paesi. Da qui la settimana scorsa  le minacce mosse dagli Stati Uniti di portare la questione davanti alla WTO. Minacce cui Pechino ha risposto rinnovando il rifiuto di modificare la propria politica in materia di esportazione di terre rare, come aveva già fatto di fronte ad altre analoghe pressioni americane.

Al WTO invece il governo americano si è gia rivolto per un’altra politica, sempre legato alla green economy cinese: quella degli incentivi ai produttori di turbine eoliche. Una questione sollevata inzialmente (assieme ad altre critiche agli incentivi cinesi) dal grande sindacato delle acciaierie americane, United Steelworkers, e ora raccolta e rilanciata dall’amministrazione Obama. Gli aiuti cinesi ai produttori di macchine eoliche – è la tesi – sarebbero contrari ai principi del libero scambio, perché sono condizionati dal fatto che il produttore che ne beneficia utilizzi componentistica made in China.

“Sussidi che sostituiscono le importazioni sono particolarmente dannosi e distorcono il commercio; è per questo che sono proibite dalle regole del WTO – ha dichiarato il direttore dell’Ufficio per il commercio estero Usa, Ron Kirk – questi aiuti di fatto costituiscono una barriera alle importazioni Usa in Cina”. Il Ministero del commercio di Pechino nega invece che gli incentivi violino le regole: “sono vitali per lo sviluppo sostenibile e sono in accordo con i principi del WTO”. Insomma, Pechino non cede, anche se sull’eolico ha già avuto alcune aperture: ad esempio è caduta la clausola che impediva di partecipare alle gare per parchi eolici in Cina alle aziende straniere che non avessero già esperienze nel paese.

D’altra parte l’industria del vento cinese sembra essere forte abbastanza per rinunciare a qualche protezione: negli ultimi 5 anni la quota delle compagnie straniere nel mercato cinese del vento è passata dal 79 al 13% (dati Goldman Sachs) e da quest’anno il paese è il primo produttore mondiale di aerogeneratori.

“La concorrenza della Cina preoccupa soprattutto gli Stati Uniti – commentava Gianni Silvestrini in un recente editoriale sul tema – che avevano puntato molto sulla green economy per rilanciare l’occupazione. È evidente che di fronte al boom delle rinnovabili ci sia una guerra aperta: i principali paesi industriali coinvolti, infatti, vogliono mantenere nei propri territori il maggior numero di aziende e di dipendenti. Questo contenzioso lo vedremo riproporsi spesso in futuro perché l’industria americana si vede sfuggire non solo gli investimenti, ma anche le stesse aziende che si trasferiscono in Cina.”

 

 

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