Il diario dalla Cop 16 di Cancun (2). Prima settimana e aria di flop

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Il nuovo trattato internazionale e il rinnovamento degli impegni vincolanti del protocollo di Kyoto dovranno attendere ancora molto tempo, perché nessun paese o gruppo di paesi è ancora pronto ad assumersi obblighi vincolanti. Un certo dinamismo viene dai paesi in via di sviluppo, ma è l'intero sistema dei negoziati a mostrare la corda. Un resoconto per Qualenergia.it della prima settimana di lavori di Leonardo Massai dalla Cop16 di Cancun.

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Cancun non partorirà il risultato atteso dal dicembre 2007 quando a Bali la comunità internazionale si è impegnata a risolvere il rebus del futuro sistema di riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra dopo il 2012.
Il nuovo trattato internazionale e il rinnovamento degli impegni vincolanti del protocollo di Kyoto dovranno attendere ancora molto tempo. Almeno un anno, probabilmente molto di più, considerato che le elezioni presidenziali americane sono in programma nel 2012 (e fino ad allora la bozza di legge nazionale sul Climate Change non supererà il voto del Congresso americano) e che la Cina non è ancora pronta ad assumere obblighi internazionali di qualsiasi tipo.

Ancora in forse, a pochi giorni dalla chiusura della COP16 e CMP6 di Cancun, anche il risultato minimo dopo un altro lungo anno di negoziati internazionali, ossia il tanto atteso pacchetto di decisioni operative sui vari temi in discussione. Nodi che potranno essere sciolti solo dal negoziato politico che è iniziato il 7 dicembre.

Sicuramente, il topolino partorito a Copenhagen non ha contribuito a sbloccare il processo negoziale e le distanze tra le parti sono ancora molto ampie. In pratica sulle questioni principali le posizioni sono le stesse di 3 anni fa. I paesi in via di sviluppo esigono il rinnovamento degli obblighi vincolanti di riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra nell’ambito del Protocollo di Kyoto, che esclude gli Stati Uniti.
I paesi sviluppati non sono pronti ad assumere tale impegno senza che gli USA facciano altrettanto. Chiaro e preciso il “no” del Giappone a qualsiasi tipo di futuro degli obblighi del Protocollo di Kyoto. Tutti i temi negoziali che ruotano in mezzo a questa grande questione, dal finanziamento all’adattamento, dalle foreste ai meccanismi flessibili, sono bloccati dalle tattiche negoziali e dagli interessi nazionali.

Riguardo al finanziamento, i paesi in via di sviluppo richiedono maggiore trasparenza e chiarezza ai paesi donatori. L’impegno economico sottoscritto a Copenhagen è ancora svuotato di un valore reale. Ad un anno di distanza, i 30 miliardi di dollari di fast-start nel 2010-2012 e i 100 miliardi di dollari all’anno fino al 2020 promessi dai paesi sviluppati sono ancora un fantasma. Non è chiaro come verranno mobilizzati e come saranno distribuiti. A Cancun i paesi in via di sviluppo hanno proposto due decisioni separate finalizzate a superare questo impasse e all’istituzione di un nuovo fondo e meccanismo finanziario.

In sostanza, il sistema è saturo. Migliaia di delegati in giro per il mondo, almeno cinque meetings internazionali all’anno, costi non più sostenibili e disponibilità di paesi ospitanti sempre più scarsa. Ma soprattutto, un negoziato ormai troppo complicato per poter essere sbloccato, con enormi interessi economici toccati da decisioni che dovrebbero avere effetti sulle scelte economiche e strategiche di molti paesi.

Un negoziato che si regge su una delle regole fondanti del sistema delle relazioni internazionali: ogni Stato un voto, 194 paesi che devono trovare una posizione comune attraverso il consensus.
La presidenza messicana della COP16 e CMP6 è consapevole del rischio di un altro fallimento dopo Copenhagen. Un fallimento che contribuirebbe ad affondare tutto il sistema. Per questo, dietro le quinte si lavora, forse troppo tardi ormai, ad una soluzione che potrebbe garantire una via di fuga, qualora, come successo a Copenhagen, un gruppo ristretto di paesi si opponesse all’adozione di una decisione finale. Una soluzione per modificare la regola del consensus e introdurre, in casi eccezionali, la possibilità per un gruppo di paesi di avanzare. Purtroppo la questione non è nuova e richiede una prova di forza che il sistema attuale non è probabilmente ancora pronto a sostenere. L’Europa ha fatto questa scelta: gestire 27 paesi sui temi economici e di sicurezza era un compito quasi impossibile. Figurarsi, immaginare di trovare una linea comune tra 194 stati sovrani.

Sul piano del negoziato, in ambito Convenzione, due sono i testi sul tavolo per finalizzare un accordo che consideri tutti i temi del Bali Action Plan, ossia visione condivisa dell’azione di lungo termine, mitigazione, adattamento, finanziamento, capacity building e trasferimento tecnologico.
Da una parte il testo negoziale “integrale” (pdf) le cui origini risalgono a Copenhagen con tutte le modifiche introdotte dalle Parti durante il 2009. Un testo negoziale di 70 pagine ancora troppo pieno di opzioni e parentesi per essere considerato una soluzione realistica.
Dall’altra un testo informale (pdf) proposto dal chair del gruppo di lavoro Convenzione che in 33 pagine si concentra sulle aree in cui il negoziato è più avanzato. Tra queste la decisione che istituisce il meccanismo di riduzione delle emissioni generate dalla deforestazione e degradazione forestale (REDD+), grazie soprattutto all’impegno dei paesi con foreste tropicali riuniti nella Coalition for Rainforest Nations. La forma di quest’ultimo, una decisione unica divisa in vari capitoli, sembra il risultato più auspicato.
In ambito Protocollo di Kyoto, il testo negoziale attuale è una proposta aggiornata del Chair del gruppo di lavoro datata 4 dicembre. Un testo che ancora presenta qualche incertezza, ma sicuramente pronto per essere adottato, qualora lo stallo relativo al futuro del protocollo di Kyoto venisse sbloccato.

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