La classifica degli emettitori italiani

Greenpeace pubblica la classifica italiana dei maggiori emettitori. Vince la centrale a carbone "Brindisi Sud"di Enel, azienda che con le centrali che ha in programma di realizzare raddoppierebbe la CO2 emessa. A livello nazionale calano le emissioni, soprattutto a causa della crisi economica.

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Calano le emissioni italiani ma il merito è in gran parte della crisi e siamo ancora a meno di metà strada verso l’obiettivo di Kyoto. Intanto ai grandi impianti che emettono decine di migliaia di tonnellate l’anno di CO2 se ne andranno presto ad aggiungere altri: solo le centrali a carbone Enel già autorizzate o in corso di autorizzazione prevedono un totale di circa 40 nuovi milioni di tonnellate (Mt) di emissioni. Sono alcuni dei dati che emergono dalla classifica dei grandi emettitori di CO2 in Italia che Greenpeace ha appena pubblicato (vedi allegato).


Sul podio c’è la centrale a carbone “Brindisi sud” di Enel, maggior fonte di emissioni del paese con ben 13 Mt di CO2 emesse nel 2009. Al 2° posto la Centrale Edison di Taranto con 5,9 Mt di CO2 e al 3° la raffineria Saras di Sarroch con 5,2 Mt di CO2. L’azienda con più emissioni è Enel per complessivi 37 Mt di CO2. Ma quel che fa più impressione è la prospettiva futura: con le centrali a carbone autorizzate o in via di autorizzazione Enel aggiungerebbe altri 38,9 Mt di CO2, raddoppiando le proprie emissioni e – fa notare Greenpeace – rendendo impossibile per il Paese centrare l’obiettivo del 2020.


Un dato che fa capire come il paese non si stia affatto decarbonizzando il proprio sistema energetico e che mostra sotto una luce diversa i dati del rapporto, che parlano di un calo marcato delle emissioni nel 2009. Dalle 538,6 milioni di tonnellate del 2008 infatti si passa a quota 502 Mt. Una flessione che rispetto al 1990 (anno di riferimento), quando le emissioni erano a 516,9 milioni, è pari al 3%, comunque meno della metà dell’obiettivo fissato dal Protocollo di Kyoto (483 Mt CO2 eq, cioè pari a -6,5% rispetto al 1990) .


Questo parziale risultato dipende dalla crisi economica. Lo si capisce quando si vede che i settori in cui le emissioni sono calate più nettamente nel 2009 sono il comparto acciaio e cemento. Nel cemento si è passati dalle 30,3 Mt del 2005 alle 23,3 del 2009, un calo del 18%; nell’acciaio dalle 13,9 alle 8,6 Mt, cioè -44%. Nel totale dei settori coperti dall’emission trading europeo (EU-ETS) la flessione è stata invece del 16%, e, per il primo anno, si è emessa meno CO2 rispetto alla quantità di permessi assegnati gratuitamente: “avanzati” titoli per 19,1 Mt di CO2, mentre l’anno scorso se ne erano dovuti acquistare per 8,9 Mt.


Dati che riflettono quelli su scala europea diffusi qualche mese fa dall’Agenzia europea per l’ambiente (Qualenergia.it, Taglio della CO2, se la crisi ci dà un’occasione ). Con una flessione delle emissioni del 6,9% rispetto al 2008. L’UE27 (per la quale vale l’obiettivo del meno 20% al 2020), grazie al calo del 2009, spiegava l’Aea, è arrivata al 17,3% sotto i livelli del 1990, mentre l’UE15 ha ridotto le proprie emissioni del 12,9%, superando per la prima volta quel taglio dell’8% che si era impegnata a raggiungere a Kyoto. Ma è soprattutto la crisi a determinare la flessione delle emissioni e principalmente il rallentamento di settori produttivi ad alta intensità energetica come la siderurgia, la chimica e il cemento: nei settori soggetti all’emission trading scheme europeo (ETS) il calo è delle emissioni arriva all’11,6%.


Tornando ai dati italiani di Greenpeace, va detto che sia la crisi che anche il ruolo maggiore delle rinnovabili nel mix energetico ha fatto calare le emissioni del settore termoelettrico: diminuite del 14% rispetto al 2008, passando da 143,1 a 122,1 Mt. “Il merito è anche della massiccia diffusione delle fonti rinnovabili il cui contributo sulla produzione totale di energia elettrica ha oramai superato il 20% – afferma Domenico Belli, responsabile della Campagna Energia e Clima di Greenpeace. – Esiste un ampio margine per aumentare questa quota di energie verdi, ma invece si continua a puntare sul carbone e in un futuro più lontano sul nucleare”.

“È il momento giusto per orientare il nostro sistema economico produttivo verso soluzioni innovative, basate sulle fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, capaci di generare occupazione sostenibile e durevole, migliorare la qualità dell’ambiente e della vita delle persone.” Commentano da Greenpeace, non senza risparmiare una stoccata alla proposta di Decreto legislativo in attuazione della Direttiva rinnovabili, presentata dal Governo nei giorni scorsi (Qualenergia.it, Bozza di decreto per il recepimento della direttiva rinnovabili) : “La proposta del Governo, pur presentando alcuni aspetti innovativi, di fatto assesta un colpo mortale allo sviluppo dell’energia eolica  e colpisce il comparto fotovoltaico, riducendo il meccanismo degli incentivi in maniera disordinata. Chiediamo al Governo – conclude Belli – una revisione della proposta, anche alla luce dei dati della nostra classifica.”

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