Emissioni, il baratro tra scienza e obiettivi sulla carta

La distanza tra la riduzione delle emissioni necessaria a fermare a 2°C il riscaldamento globale e gli impegni che i paesi sono disposti a prendere è troppo grande, spiega lo studio coordinato dall'UNEP dal titolo "Emission Gap Report". Servono obiettivi più ambiziosi e regole severe per attuarli. Si spera che qualche risultato arrivi da Cancun perchè le possibilità di farcela si riducono a ogni anno che passa.

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“Le nazioni hanno la possibilità di conseguire quasi il 60% della riduzione delle emissioni necessaria”. Il rapporto pubblicato dall’UNEP presenta il dato in toni soft, ma è facile capire che c’è poco da essere ottimisti. Bastano due conti: se gli impegni più coraggiosi di riduzione delle emissioni proposti finora dalle nazioni venissero mantenuti, al 2020 avremmo comunque 5 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (GtCO2e) di troppo per riuscire a fermare il riscaldamento globale entro la soglia in cui i danni sarebbero accettabili, cioè sotto i 2°C. Siamo cioè sulla buona strada per non farcela: cambiare marcia ora è urgente.

È quel che emerge dall’Emission Gap Report (vedi allegati), lo studio coordinato dall’UNEP fatto uscire a pochi giorni dall’inizio dei negoziati internazionali di Cancun. Un lavoro nel quale si fa una stima dell’andamento delle emissioni in base agli impegni presi o proposti dalle varie nazioni e lo si confronta con quello che servirebbe per evitare gli effetti peggiori del global warming. Un documento che contiene scenari che, come anticipato, fanno riflettere: il “gap” del titolo, ossia la distanza tra quello che si sta dicendo di fare e quello che invece servirebbe secondo la scienza, è troppo grande.

Per avere una discreta possibilità (superiore al 66%) di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C, la soglia cui si punta per minimizzare i danni,  le emissioni globali dovrebbero raggiungere il picco nei prossimi 10 anni e fermarsi a 44 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente nel 2020. Nel 2009 eravamo a 48 GtCO2e, in uno scenario business as usual per il 2020 arriveremmo a 56. Ma come andrebbero le cose secondo gli impegni messi finora sul tavolo dei negoziati internazionali dai vari paesi? Nella migliore delle ipotesi si arriverebbe a 49 GtCO2e, appunto il 60% di quel che servirebbe e che lascia un buco  di 5 miliardi di tonnellate (l’equivalente delle emissioni totali del trasporto su gomma nel 2005) rispetto a quel che servirebbe.

Questo risultato però si otterrebbe solo assumendo che tutti i paesi perseguano concretamente gli obiettivi di riduzione delle emissioni più alti proposti finora – ossia quelli che sarebbero disposti a darsi se anche gli altri facessero altrettanto. Ad esempio, se l’Europa passasse dall’obiettivo del -20% al -30%, gli Usa mettessero in pratica la riduzione voluta da Obama e il Canada facesse altrettanto e così via. E non solo: per raggiungere questo scenario “ottimista” occorre che vengano poste regole severe sulla modalità di valutazione degli obiettivi:  ad esempio che tengano adeguatamente conto delle emissioni dovute dal cambio d’uso del suolo (LULCF) e che evitino che la riduzioni di CO2 ottenute tramite meccanismi di compensazione in altri paesi (come i progetti CDM) vengano conteggiate due volte. Questioni che si spera escano apertamente alla luce a Cancun.

Se non fosse così, e la cosa non è improbabile, il divario tra i tagli alle emissioni che servirebbero e quelli reali sarà ancora più grande. Infatti senza le regole sopra citate, anche ipotizzando gli impegni più coraggiosi proposti finora, le emissioni arriverebbero al 2020 a 51 GtCO2e e il “gap” salirebbe a 8 GtCO2e. Con regole severe, ma con gli impegni meno ambiziosi – quelli che le varie nazioni sono attualmente disposte a prendersi senza guardare a quel che faranno gli altri – si arriverebbe invece a 52 GtCO2e; se con questi obiettivi più bassi mancassero anche regole adeguate si salirebbe a 53 GtCO2e, solo 3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente in meno rispetto al business as usual e 9 in più rispetto a quel che servirebbe per avere probabilità maggiori del 66% di fermare la febbre del pianeta sotto i 2°C.



(Grafico: la barra sovrapposta in corrispondenza del 2020 rappresenta il range di riduzione delle emissioni secondo gli impegni presi. Come si vede siamo in traiettoria  per aumenti della temperatura tra i 2,5 e gli oltre 5°C)


In ogni caso, anche nello scenario ormai improbabile in cui si riducessero le emissioni secondo quanto servirebbe, arrivando al 2020 con 44 GtCO2e, la riduzione delle emissioni dovrebbe continuare con ritmi crescenti dopo quell’anno fino ad arrivare al 2050 ad un bilancio negativo, cioè in cui si assorbe più CO2 di quella che si emette. Logicamente più si farà nei prossimi 10 anni e più sono le probabilità di evitare gli effetti più disastrosi prodotti dai cambiamenti climatici.

Come commenta il direttore dell’UNEP, Achim Steiner: “Esiste un baratro innegabile tra la scienza e gli obiettivi nazionali attuali. Ma quello che dimostra soprattutto questo rapporto è che le opzioni attualmente sul tavolo dei negoziati possono condurci a percorrere circa il  60% del cammino. È una buona prima tappa. Questa partnership senza precedenti sui  modelli climatici ha reso chiaro e inequivocabile un punto: mantenere i cambiamenti climatici entro limiti gestibili è fattibile, ma la finestra per un’azione efficace si sta riducendo per ogni anno di ritardo. Cancun rappresenta la prossima opportunità per colmare le lacune e tenere la finestra aperta per portare il mondo verso un nuovo trattato internazionale”.

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