L’azzardo europeo: auto a idrogeno competitive al 2030

Due studi sul futuro della mobilità europea su strada. Per la Commissione è essenziale diversificare i sostituti del petrolio visti i limiti dei biocarburanti, aspettando un contributo massiccio da auto elettriche e fuel cell, che anche secondo Mc Kinsey potranno essere competitive già nel prossimo decennio. Uno scenario che però non convince, in particolare per quanto riguarda l'uso dell'idrogeno.

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Se l’Europa vuole ridurre le proprie emissioni dell’80% entro il 2050 la mobilità privata dovrà ridurre velocemente la sua dipendenza dal petrolio. Per quell’anno – quando le auto in circolazione si stima saranno circa 273 milioni – il settore dei trasporti su strada dovrà essere per il 95% carbon free, dicono diversi scenari di riduzione delle emissioni dell’80%. Saranno i veicoli elettrici, a celle combustibili all’idrogeno o a biocarburanti a sostituire petrolio e benzina: tempi e modi però non sono chiari nel documento che sembra, per usare un eufemismo, troppo ottimistico soprattutto in merito alla competitività delle auto a idrogeno in un lasso di tempo di soli 10-20 anni.
Se i biocarburanti stanno penetrando molto velocemente – rivelando nel contempo impatti ambientali a volte controproducenti – i veicoli elettrici e quelli a celle a combustibile incontrano più resistenza, frenati dai costi e dalla necessità di infrastrutture.


Saranno però proprio queste forme di motorizzazione che daranno il contributo più importante nei prossimi decenni, affermano un paio di studi di recente pubblicazione: uno realizzato da Mc Kinsey & Co. per conto di European Climate Foundation, dell’associazione governativa European Fuel Cells and Hydrogen Joint Undertaking e di diversi soggetti privati (vedi allegato), l’altro redatto dalla Commissione Europea e anticipato nei contenuti principali da Euractiv.

Il cammino per decarbonizzare il trasporto su strada, nella visione dello studio della Commisione, passerà inizialmente per diversi sostituti del petrolio: dal gas naturale, al gpl, al bio-metano ad altri carburanti di sintesi e ovviamente per i biocarburanti. Carburanti alternativi la cui promozione sarà al centro del White Paper sul trasporto atteso per dicembre, che renderà ufficiale la strategia europea in materia. Quel che è chiaro è che bisognerà diversificare e che per problemi di disponibilità e sostenibilità il ruolo dei biocarburanti dovrà essere limitato: sono ormai decine gli studi che mostrano gli impatti negativi sia ambientali che sociali che l’aumento del fabbisogno europeo di biofuel comporterebbe (Qualenergia.it, Biocarburanti UE, obiettivo controverso) e anche la Commissione sembra prenderne parzialmente atto.

Nella visione emersa dallo studio i biofuel restano comunque importanti, specie per aviazione e trasporti su lunghe distanze: hanno il grande vantaggio di non richiedere nuove infrastrutture di distribuzione e di essere miscelabili ai carburanti tradizionali. Per la mobilità privata su corto raggio però si dovrà passare ad altre motorizzazioni: auto elettriche, ibride plug-in e a celle combustibili. Qui lo studio prende in esame il problema dei costi. Un’auto elettrica attualmente costa 10-15mila euro più di una con motore a combustione interna, mentre una ad idrogeno addirittura 150-200mila in più. Costi a cui si aggiunge il vincolo delle infrastrutture: per arrivare ad avere 70 milioni di auto con questa motorizzazione servirebbero 3-5 miliardi all’anno di investimenti in infrastrutture fino al 2020 e 2,5 miliardi all’anno dal 2020 al 2050.


Molto più ottimista sul futuro di auto elettriche, ibride e fuel cell a idrogeno è invece lo studio di Mc Kinsey che parte dalla giusta premessa che efficienza dei veicoli a combustione interna (che si prevede possa migliorare del 30% da qui al 2050) e biocarburanti non possano fare abbastanza. Nello scenario proposto veicoli elettrici, ibridi plug-in e a celle combustibili ad idrogeno convivono e, quel che è interessante, si mostra come i costi di possesso ed esercizio dei diversi tipi di veicoli siano destinati a convergere attorno al 2025.


La previsione infatti è che entro il 2020 le auto elettriche vedano il prezzo calare dell’80%, quelle ad idrogeno del 90%. Attorno al 2030 la previsione dello studio è che un’auto ad idrogeno sarà competitiva con una a combustione interna; calcolando incentivi di circa 6mila euro per veicolo questo potrebbe avvenire già al 2020.


Anche il costo delle infrastrutture necessarie alla diffusione di questa motorizzazione sarebbe accettabile: circa il 5% in rapporto al costo del veicolo, ossia 1000-2000 euro. Creare una rete di stazioni per l’idrogeno a livello europeo, secondo lo studio, costerebbe circa la stessa somma che creare l’infrastruttura per la ricarica dei mezzi elettrici. Servirebbero circa 3 miliardi all’anno per i primi 10 anni e dai 2 ai 3 successivamente. Neanche tantissimo – spiega il report – se proporzionati ai 50-80 miliardi che si spendono ogni anno per le infrastrutture stradali, energetiche e di telecomunicazione. Quindi, secondo il report, quella di idrogeno e veicoli elettrici sarà la strada da seguire nei prossimi vent’anni.


Una strada che però va preparata già ora e che, dati i grossi investimenti e i rischi che comporta, non si può percorrere senza il sostegno e il coordinamento del pubblico


A parte il discorso legato alle vetture ibride o elettriche che hanno una loro possibilità di entrare massicciamente nel parco delle auto in circolazione, non sembra proprio reggere l’idea che l’idrogeno possa avere un ruolo significativo nella mobilità. Sono i fatti di questi ultimi decenni a dimostrarlo.
L’inefficienza energetica del sistema di produzione dell’idrogeno, i costi della distribuzione (circa 850mila dollari per un distributore tipo realizzato negli Usa) per non parlare di quelli delle vetture, i problemi di sicurezza, la quasi certa dipendenza dai combustibili fossili o dal nucleare, sono solo alcune delle ragioni dei continui insuccessi di questa linea di ricerca e investimento che in 30 anni ha prodotto briciole (la GM ha costruito solo una settantina di macchine) e ha inanellato flop a getto continuo come il ‘progetto Islanda’ che doveva diventare un il più grande esportatore di idrogeno in Europa.

Forse basterebbe guardare ai committenti di questi lavori per capire che c’è una forte lobby, in primis delle case automobilistiche, che punta a drenare un po’ di risorse per proseguire questa, finora, fallimentare avventura. Affronteremo sicuramente in maniera più scientifica questa tematica in altri articoli, magari anche analizzando con maggior attenzioni questi recenti documenti.


a cura della redazione di Qualenergia.it


 


16 novembre 2010


 


 


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