Dal MIT le speranze per accumulare energia solare

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Una sostanza che accumula nei legami chimici il calore del sole e permette di riutilizzarlo quando serve, anche a distanza di anni. Poi può essere ricaricata al sole. Il solare termochimico potrebbe essere la svolta che permetterà all'energia solare di essere stoccata e trasportata. Utilizzato ancora un elemento chimico troppo costoso e diverse sono le difficoltà, ma dal MIT arrivano nuove speranze.

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Immagazzinare l’energia del sole nei legami chimici per usarla quando serve e non solo quando c’è. Quello dell’accumulo dell’energia è sempre stato un problema fondamentale per fonti discontinue e non modulabili come il solare. Interessanti da questo punto di vista le ricerche che si stanno svolgendo nei laboratori del Massachussets Institute of Technology (MIT): riguardano una molecola capace di assorbire l’energia termica del sole, conservarla e rilasciarla su richiesta, anche dopo anni. 

Una tecnologia che consente di catturare il calore del sole in legami chimici, anche con scarsa insolazione, per poi riutilizzarlo e che consente di avere una sostanza che una volta caricata dal sole può essere usata in qualsiasi momento successivo per generare il calore con cui far girare una turbina, piuttosto che per scaldare direttamente acqua o ambienti. Quella del solare termochimico è una frontiera che si è cominciata ad esplorare già negli anni ’70, ma che era stata accantonata perché nessuno aveva trovato un modo praticabile per sfruttarla. Non si era riusciti infatti a trovare una sostanza che potesse passare in maniera sufficientemente affidabile e reversibile tra i due stati: quello in cui viene accumulato il calore e quello in cui viene rilasciato.

Un composto con queste caratteristiche era stato scoperto nel 1996. Si tratta del fulvalene diruthenium (in alto l’immagine della molecola) che però, contenendo rutenio, elemento raro e costoso, si è rivelato finora utilizzabile solo teoricamente. Ora il lavoro del MIT promette di riaprire la partita: Non hanno ancora trovato una sostanza più economica, ma per la prima volta hanno capito il meccanismo tramite il quale questa molecola immagazzina e rilascia il calore, comprensione che apre la via alla creazione di composti con le stesse caratteristiche ma a base di elementi più abbondanti e a buon mercato.

In sintesi la molecola in questione subisce una trasformazione strutturale quando assorbe i raggi del sole acquisendo un più alto stato energetico nel quale può rimanere indefinitamente. Poi, stimolato da calore aggiuntivo o da un catalizzatore, il fulvalene diruthenium torna alla sua struttura originaria, rilasciano il calore assorbito. Quello che si è scoperto al MIT – spiegato in questo studio apparso sul numero di ottobre di Angewandte Chemie – è che c’è uno stato intermedio tra i due descritti nel quale la molecola è semistabile: sarebbe questo il segreto che spiegherebbe perché la molecola sia così stabile e come possa passare in maniera reversibile dall’accumulo di calore al suo rilascio.

Pare quindi si sia compresa la chiave di volta che dà al fulvalene diruthenium le caratteristiche che lo rendono una batteria ricaricabile per il calore con conseguenti applicazioni di grande interesse. Come illustra Jeffrey Grossman (vedi video, in inglese), uno dei ricercatori coinvolti, la sostanza può infatti accumulare e rilasciare ripetutamente calore generando temperature attorno ai 200 °C, abbastanza da far girare una turbina per produrre elettricità o per scaldare una casa. Una tecnologia del genere potrebbe cambiare il mondo delle rinnovabili: l’energia solare potrebbe essere immagazzinata e trasportata in un “combustibile”, che una volta usato si ricarica semplicemente al sole. Dalla teoria alla pratica però il cammino sembra ancora lungo.

Ora, capito il funzionamento del processo, la strada che si seguirà, spiega Grossman, è individuare l’elemento candidato a sostituire il costoso rutenio. Lo si farà usando una combinazione di simulazioni, intuizioni chimiche e consultando database con milioni di sostanze che hanno strutture simili e che possano avere lo stesso comportamento.

A questo punto uno degli ostacoli maggiori che si frappongono all’usabilità del solare termochimico sarà parzialmente superato, anche se la cosa non sarà così semplice. “Altre due questioni critiche si porranno una volta individuato il sostituto: quanto facile sarà sintetizzarlo e quale sia il possibile catalizzatore per indurre il rilascio dell’energia immagazzinata”, spiega Roman Bulatov, chimico della University of Illinois. Attendiamo altre buone notizie su questo fronte.

 

 

 

 

 

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