Il cammino del fotovoltaico organico

Il Technology Strategy Board britannico premia un'innovazione nel campo del fotovoltaico che imita la fotosintesi clorofilliana. Un nuovo tipo di celle organiche che promettono una durata di vita più lunga e maggiore flessibilità di applicazione. Uno sviluppo interessante per questa tecnologia dal grande potenziale ma ancora con diversi problemi tecnici da superare prima di entrare a pieno titolo nel mercato.

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Il fotovoltaico organico continua ad attirare l’attenzione istituzioni e operatori. È arrivato con un assegno da 100mila sterline elargito dal Technology Strategy Board, organismo del governo britannico per la promozione dell’innovazione, un riconoscimento per lo sviluppo del potenziale di questa tecnologia solare low-cost che mima il funzionamento della fotosintesi clorofilliana. Ad essere premiato nell’ambito della categoria energia della Disruptive Solutions Competition – la competizione per le “soluzioni rivoluzionarie” – è proprio il nuovo fotovoltaico organico su cui sta lavorando Oxford Photovoltaics, il programma di ricerca dell’Università di Oxford. la linea di ricerca sulla quale si sta lavorando a Oxford promette di migliorare l’utilizzazione del fotovoltaico organico, allungandone il ciclo di vita e facilitandone l’integrazione nei materiali per l’edilizia, a cominciare dal vetro.

Mentre le celle organiche esistenti al momento usano una tintura liquida che agisce come la clorofilla, rilasciando elettroni che vengono trasportati da una soluzione liquida conduttrice (e corrosiva) fino ad un circuito esterno, quelle premiate dal Technology Strategy Board usano un ossido di metallo allo stato solido immerso nella tintura organica, cosa che permette di stampare le celle su una superficie, con una tecnica simile a quella della serigrafia (“screen-priniting”).

Un’innovazione che – come spiega a The Engineer, Henry Snaith, uno dei ricercatori coinvolti “rende molto più facile la lavorazione: non ci si deve preoccupare di incapsulare e sigillare, un problema fondamentale nelle celle elettrolitiche a tintura”. Stampare con la tecnica dello screen-printing infatti permette di incapsulare e sigillare molto più facilmente le celle per proteggerle dall’ambiente. Questo, assieme al fatto di sostituire con un materiale solido la soluzione conduttrice corrosiva, promette di allungare la vita utile delle celle. Un punto fondamentale dato che proprio la scarsa durata è il punto debole di questo tipo di celle: “è attualmente 2-3 anni – spiega il direttore del programma di ricerca Kevin Arthur – mentre per poter entrare a pieno titolo nel mercato del fotovoltaico integrato dobbiamo raggiungere aspettative di vita di almeno 20 anni.” Per ora le celle organiche di Oxford saranno applicate ai vetri, dando a questi una leggera colorazione che dipenderà appunto dal tipo di tintura. In futuro si pensa all’applicazione su altri materiali, come i laminati d’acciaio.

Le potenzialità di un mercato del fotovoltaico organico integrato nell’edilizia sono molto interessanti. Ad attrarre sono soprattutto i bassi costi: “circa la metà rispetto alle altre tecnologie esistenti che si basano sul sottovuoto e su metalli rari”, spiegano ad Oxford. Secondo altri con le celle organiche si raggiungerebbero costi per watt fino a 10 volte più bassi rispetto al fotovoltaico tradizionale.

Mentre i film sottili non organici in commercio sono realizzati in gran parte con cadmio e tellurio, materiali non così diffusi in natura, le celle organiche sono costruite con materiali economici e disponibili in quantità (principalmente biossido di titanio e tinture a base di pigmenti organici sintetizzati biologicamente); inoltre la loro realizzazione è molto più semplice (vedi video) e meno dispendiosa in termini di energia e meno inquinante rispetto alle tecnologie concorrenti. Trasparenti e flessibili, queste celle aprono ad applicazioni inedite e sarebbero ideali anche per grandi superfici, visto che rendono molto bene anche con bassa insolazione.

Chiaro dunque che l’interesse per questa tecnologia sia molto alto: pochi mesi fa il prestigioso Millennium Technology Price, è stato assegnato proprio all’inventore di questo tipo di celle, Michael Grätzel (Qualenergia.it, Il futuro del fotovoltaico organico ). Anche presso l’Università di Roma Tor Vergata è nato un polo per la ricerca e sul fotovoltaico organico (Qualenergia.it, Il nuovo fotovoltaico parla italiano). Mentre alcune aziende, come la britannica G24 Innovations o l’australiana Dyesol, hanno già iniziato a vendere prodotti basati su questa tecnologia.

Un potenziale alto, per realizzare il quale però devono essere superati diversi ostacoli tecnici: uno è quello appunto della stabilità elettrica generale della cella e quindi della sua durata. Altri sono legati all’uso di elettroliti liquidi che ghiacciano alle basse temperature, bloccando così la produzione elettrica. Problemi che innovazioni come quelle sviluppate nei laboratori di Oxford promettono di contribuire a superare. Staremo a vedere se questo potrà essere il fotovoltaico del prossimo decennio..

 

 

 

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