Emissioni UE, il meno 30 per cento della discordia

L'Europa rimanda la decisione sull'innalzamento al meno 30% dell'obiettivo 2020 sulle emissioni. C'è chi frena, Italia in testa. Se ne riparlerà a primavera 2011. Intanto i dati che arrivano all'Agenzia europea per l'ambiente dicono che l'obiettivo più ambizioso è più a portata di mano e meno costoso di quanto si pensava solo pochi mesi fa.

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Innalzare l’obiettivo europeo di riduzione della CO2 al 2020 al meno 30%, senza attendere un accordo internazionale o aspettare di vedere se si raggiunge un accordo mondiale? La settimana scorsa dall’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) erano arrivati dati che avrebbero dovuto spingere a rivedere l’obiettivo: l’Ue è sulla strada per raggiungere sia l’impegno sottoscritto a Kyoto del 2012 che la riduzione delle emissioni del 20% al 2020. Ma giovedì scorso a Bruxelles, nell’ultima riunione dei Ministri dell’ambiente Ue riguardo all’eventualità di innalzare l’asticella fino al 30%, si è stabilito di rimandare ancora la decisione: manca l’accordo, meglio attendere.

Diversi gli Stati membri favorevoli a modificare subito l’impegno, passando al meno 30%, con Gran Bretagna, Francia, Germania e Danimarca in prima linea. A frenare invece soprattutto i paesi del Sud e dell’Est, Italia e Polonia in testa. Conclusione: se ne riparlerà a primavera 2011 quando la Commissione presenterà una roadmap per ridurre le emissioni fino al 2050.

Non sono bastati dunque gli ultimi dati sui gas serra europei diffusi dall’EEA a convincere che il -30% è a portata di mano senza particolari sacrifici per l’economia europea. Nell’ultimo report (vedi allegato) si calcola che l’Europa a 15 è sulla rotta per raggiungere e superare l’obiettivo sottoscritto a Kyoto, di ridurre le emissioni dell’8%, anche se alcuni paesi, tra cui l’Italia, sono leggermente in ritardo. Ma, soprattutto, si rileva che l’Europa a 27 al momento ha già ridotto le proprie emissioni del 17,3% rispetto ai livelli del 1990 e dunque può raggiungere facilmente l’obiettivo del -20% al 2020 senza ricorrere a meccanismi di compensazione.

Il rapporto – pubblicato nella versione definitiva la settimana scorsa, ma già anticipato su queste pagine a settembre (Qualenergia.it, Taglio della CO2, se la crisi ci dà un’occasione) – fa notare come sulla riduzione delle emissioni (-6,9% dal 2008 al 2009) abbia pesato fortemente la crisi e come il calo più marcato (-11,7%) si sia registrato nei settori ricompresi nell’European emission trading scheme (EU ETS). Non è dunque il caso di riposarsi sugli allori: questa riduzione delle emissioni nei settori EU ETS, se non si diminuiscono i permessi assegnati gratuitamente nella prossima fase e si innalza l’obiettivo al 2020, potrebbe minare la già dubbia efficacia del meccanismo (Qualenergia.it, L’ETS che fa crescere le emissioni). Sono infatti pari a circa 1,8 miliardi di tonnellate di CO2 – fa notare l’ong Sanbag.org – i permessi “risparmiati” nella fase attuale dell’ETS che le aziende potrebbero rivendere o utilizzare in quella successiva (2013-2020), annullando in pratica le riduzioni effettive.

Già nel corso di questa primavera la Commissione Europea si era accorta di come la crisi stesse rendendo molto più raggiungibili gli obiettivi sulle emissioni (Qualenergia.it, Emissioni, come l’Europa può fare di più). Se prima della congiuntura economica il costo per tagliare del 20% era stimato in 70 miliardi di euro annui, ad aprile 2010 questo si era ridimensionato a 48. Ridurre del 30%, aveva sottolineato la Commissione, costerebbe solo 11 miliardi in più che puntare al meno 20%. Tutti costi che, alla luce dei nuovi dati diffusi dall’EEA, saranno con ogni probabilità ulteriormente rivisti al ribasso.

Favorevole all’innalzamento dell’obiettivo, assieme a Gran Bretagna, Francia, Germania e Danimarca, anche la Commissaria europea per il clima Connie Hedegaard, secondo la quale “l’obiettivo del the 20% non darebbe alle industrie un incentivo sufficiente ad investire nell’innovazione low-carbon”. Che la crisi e la riduzione delle emissioni implicata sia l’occasione per premere l’acceleratore sulla lotta al global warming però è un fatto che non mette tutti d’accordo, come dimostra la “non decisione” di giovedì.


Oltre agli Stati, anche il mondo economico si è spaccato sull’opportunità di passare al meno 30%. Se Business Europe, rete che raccoglie varie “confindustrie” nazionali, si è schierata contro l’innalzamento dell’asticella, temendo per la competitività, un’altra coalizione di 29 grandi compagnie ha fatto sentire la sua voce affinché l’Europa porti subito a meno 30% l’obiettivo 2020.

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