Dove nascono i brevetti per le energie pulite

Uno studio Unep fa il punto sulla situazione mondiale in materia di brevetti sulle tecnologie pulite. Sono concentrati per circa l'80% in 6 paesi industrializzati, anche se le potenze emergenti stanno guadagnando terreno. Un report che sarà sul tavolo di Cancun dove si discuterà di come evitare che i brevetti ostacolino la diffusione delle tecnologie necessaria.

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Che la sfida del cambiamento climatico faccia bene all’innovazione è abbastanza ovvio. Dal 1997, anno in cui è stato firmato il protocollo di Kyoto, il numero dei brevetti legati al “cleantech” è cresciuto grosso modo del 20% all’anno, superando quelli registrati nel campo dell’energia convenzionale, ossia fonti fossili e nucleare. Tra i settori più fertili in quanto a invenzioni registrate fotovoltaico, eolico, cattura della CO2, biocarburanti, idroelettrico ed energia dal mare. Ma va fatto notare che l’80% dei brevetti è concentrato in 6 paesi: Giappone, Usa, Germania, Corea del Sud, Regno Unito e Francia. Anche se nazioni emergenti come India e Cina stanno recuperando terreno.

A fare una ricognizione sulla situazione mondiale dei brevetti legati all’energia pulita è uno studio (vedi allegato) realizzato dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO) e il Centro Internazionale per lo Sviluppo sostenibile (ICTSD). Si tratta del primo report mai pubblicato per sondare i brevetti registrati nell’ambito del vasto settore low-carbon. Un progetto che nasce essenzialmente con l’obiettivo di esaminare l’effetto dei brevetti sul trasferimento tecnologico a livello globale e che ha permesso anche di creare un database dei brevetti mondiali consultabile on-line e aggiornato costantemente.

Il messaggio fondamentale che emerge dallo studio – come spiega il direttore dell’EPO, Benoît Battistelli – “è che le politiche e la cornice normativa influenzano molto le modalità in cui il business investe in innovazione. Su tutte le questioni ambientali il mercato è determinato dalla cornice normativa”.
Non a caso, come detto, circa l’80% dei brevetti mondiali è concentrato nei sei paesi in testa alla classifica, che primeggiano a loro volta almeno in un campo della green economy. Il 45% dei brevetti sul fotovoltaico dal 1998 al 2007 ad esempio è stato registrato in Giappone, seguito da Usa, Corea del Sud, Germania e Francia (mentre l’Italia è al 10° posto con uno share di circa il 3%). Per l’eolico il paese con più brevetti è la Germania (34%) seguita da Usa, Giappone e Danimarca. Per la geotermia la Germania, mentre gli Usa primeggiano in quanto a brevetti sulla cattura della CO2 e sui biocarburanti.

Una concentrazione che riflette quella sui brevetti in generale: se si va a vedere la percentuale di quelli “clean” sul totale dei brevetti per ogni paese (pag. 78 del report) si scopre che nelle potenze emergenti l’innovazione verde sta crescendo a ritmi sostenuti. Brasile e India ad esempio vanno forte per brevetti in fotovoltaico e idroelettrico, mentre la Cina negli ultimi 5 anni ha avuto un boom in quelli sull’eolico ed è il paese con la quota relativa maggiore di brevetti nel settore.

Sfogliando il report è poi interessante andare a vedere quali sono i fattori che in ogni paese stimolano l’innovazione. Come detto un ruolo determinante è dato dalle politiche, incentivi in primis. Ma altri fattori incidono. Ad esempio il numero di brevetti sui biocarburanti segue abbastanza fedelmente l’andamento dei prezzi del greggio. Particolare invece è la correlazione con i fondi pubblici destinati alla ricerca: a parità di fondi stanziati, nelle tecnologie pulite vengono registrati molti più brevetti che nel settore dell’energia convenzionale, ma il legame con la ricerca pubblica varia moltissimo da tecnologia a tecnologia: il più stretto ad esempio è quello della cattura della CO2, mentre l’eolico è il settore in cui l’innovazione sembra più indipendente dai finanziamenti pubblici. Interessante da consultare, infine, sono le tabelle a pagina 73 e seguenti del documento in cui si fa un monitoraggio delle varie tecnologie e delle innovazioni specifiche brevettate, rendendo conto per ognuna dello stadio di sviluppo e della data di commercializzazione prevista.

Concludendo, come spiega Achim Steiner, Sottosegretario delle Nazioni Unite e direttore esecutivo dell’Unep: “Lungi dall’essere un peso sulle economie, gli sforzi internazionali per combattere i cambiamenti climatici hanno scatenato la creatività tecnologica su soluzioni di green economy a basso tenore di carbonio ed efficienti sotto il profilo delle risorse. La sfida è ora quella di trovare i modi in cui questi progressi possono essere diffusi e quindi trasferirli in tutto il mondo in maniera tale che i benefici siano condivisi da molti piuttosto che da pochi”.


Proprio per questo il rapporto sarà sul tavolo dei prossimi negoziati sul clima, a Cancun, per fare sì che i brevetti non ostacolino, come alcuni temono, la diffusione delle tecnologie pulite, ma che i paesi che più ne hanno bisogno possano usufruire facilmente delle innovazioni introdotte altrove.
Come spiega il direttore dell’EPO Benoît Battistelli” Questo tipo di informazioni sono divenute centrali nei negoziati sul clima: molti considerano i brevetti come un ostacolo al trasferimento tecnologico. Ma fino ad ora la discussione non è stata basata su dati concreti; questo studio nutrirà il dibattito su cambiamenti climatici e trasferimento tecnologico”.

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