La Banca Mondiale punta ancora sul nero

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Solo nel 2010 la World Bank ha investito 4,4 miliardi di dollari per il carbone nei paesi in via di sviluppo, in contraddizione con il suo dichiarato impegno per il clima. Secondo la Banca questo sarebbe l'unico modo per soddisfare la fame energetica dei paesi emergenti, ma in molti non sono d'accordo.

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Con una mano firma l’impegno per difendere il clima, con l’altra investe nelle fonti sporche. Dal 2006 al 2009 i finanziamenti della Banca Mondiale alle fonti fossili sono passati da 1,5 a 6,2 miliardi di dollari all’anno. Solo nel settore del carbone nei primi 9 mesi di quest’anno la World Bank ha versato 3,4 miliardi (4,4 contando anche gli investimenti sulla rete) per servire due centrali di questo tipo in India. A progetti in efficienza energetica e rinnovabili, nel 2009 (ultimo anno per cui si hanno dati), l’istituzione internazionale ha destinato poco più di 3 miliardi.

Le ultime cifre sugli investimenti delle Banca Mondiale nelle fonti fossili sono stati diffusi la settimana scorsa (in allegato le tabelle elaborate dall’ong Bank Information Center). Si tratta di numeri che da soli descrivono bene la contraddizione della politica e dell’azione di quest’istituzione, che da una parte si candida a gestire gli aiuti al terzo mondo per rallentare il cambiamento climatico e difendersi dalle sue conseguenze, mentre dall’altra continua a promuovere le fonti energetiche che sono causa del problema.

Su queste pagine abbiamo sottolineato diverse volte questa incoerenza (Qualenergia.it, Banca Mondiale, predica bene e razzola male), l’ultima ad aprile, parlando del finanziamento alla centrale a carbone di Meduni, in Sud Africa (Qualenergia.it, Le ragioni del carbone per la Banca Mondiale). Negli ultimi mesi la Banca ha stanziato altri soldi per il carbone, circa 378 milioni di dollari, per due progetti in Botswana e un altro miliardo per le infrastrutture che serviranno due centrali a carbone di recente costruzione in India, Sasan Ultra e Tata Mundra, tra le più grandi fonti di emissioni mondiali (la seconda pure finanziata dalla Banca Mondiale nel 2008 con 450 milioni e candidata, ingiustamente, ad accedere ai crediti del Clean Development Mechanism).

Di fronte alle critiche per questi investimenti la World Bank argomenta che fonti economiche come il carbone sono l’unica soluzione possibile per soddisfare la crescente fame di energia di certi paesi in via di sviluppo e, dunque, a combattere la povertà. Ma molti non sono affatto d’accordo sul fatto che legare per almeno altri 40-50 anni, tanto dura una centrale, il destino di aree povere ad una fonte problematica come il carbone sia la soluzione migliore per contrastare l’indigenza. Lo fanno notare ong come Cristian Aid che stigmatizza le scelte della World Bank invitandola ad investire invece maggiormente sull’accesso all’energia e per le fonti low carbon.

Sullo stesso tono anche il Sierra Club indiano che affronta il problema in un post.  Diverse le ragioni per le quali il carbone non è un buon aiuto contro la povertà: la più importante riguarda le esternalità negative di questa fonte – dai costi sanitari (Qualenergia.it, Il vero prezzo del carbone), all’inquinamento, agli effetti del global warming – che restano tutte a carico di comunità che hanno già non pochi problemi; un’altra riguarda il prezzo di mercato dei combustibili fossili, volatile e destinato ad aumentare. Infine – fa notare il ramo indiano del Sierra Club – il problema dell’accesso all’energia elettrica, negato ad 1,5 miliardi di persone nel mondo, non si risolve con le grandi centrali. Molto meglio investire nelle reti elettriche rurali e puntare su di una produzione energetica decentralizzata e alimentata da rinnovabili.
 

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