La green economy ha retto bene la crisi e nell’ultimo anno non ha perso terreno. Il volume d’affari è stabile e per quantitavi è pari all’intera economia svizzera: da tempo ha superato settori come quello della difesa e l’aerospaziale, media e telecomunicazioni. A dirlo l’ultimo report sul settore fatto dal gruppo finanziario HSBC, che ha monitorato le società con capitali sopra i 400 milioni di dollari e per la sola porzione di attività legata alla questione clima. Il dato fondamentale emerso è che i ricavi della green economy quest’anno sono stati pari a 530 miliardi di dollari contro i 534 dell’anno scorso: praticamente invariati, nonostante il rallentamento economico.
In testa alla classifica soprattutto compagnie statunitensi, giapponesi ed europee, ma è la Cina il grande attore emergente: se nel 2004 pesava per il 6% degli investimenti in tecnologie legate al clima, nell’ultimo anno ha contato per il 24%, fa notare al Financial Times Joaquim De Lima, co-autore del report HSBC. “Penso sia solo l’inizio, la Cina sta emergendo come forza dominante in questo settore”. Il merito, spiega De Lima, è delle politiche governative di Pechino, che hanno incanalato miliardi di dollari pubblici nella green economy.
Tra le attività low-carbon (il report HSBC considera assieme a rinnovabili ed efficienza energetoca anche il nucleare e la gestione di acqua e rifiuti) quelle che promettono meglio sono quelle legate alla gestione dell’energia: soprattutto i prodotti per l’efficienza energetica e l’area delle smart grid, le reti intelligenti.
Dunque, come si vede dal report del gruppo finanziario la parte di economia attiva nel contrastare il riscaldamento globale è anche quella che meno ha risentito della crisi e che ha maggiori prospettive di crescita. C’è però anche un altro modo in cui la questione climatica influisce sul mondo degli affari: stiamo parlando dell’impatto che le conseguenze del global warming possono avere sulle varie attività economiche. Un problema che spesso le società sottovalutano e sul quale non ricevono adeguate informazioni. È questo l’argomento di uno studio pubblicato in questi giorni da CBI, la “Confindustria” britannica.
Il documento, dal titolo “Whatever the weather: managing the risks from a changing climate” (pdf ), richiede al governo di Londra di creare un sistema informativo chiaro che a partire dalle proiezioni sul cambiamento climatico nel paese, permetta alle aziende di calcolare i rischi economici che corrono a causa del global warming.
Sempre di più per le aziende infatti, spiega il report, è fondamentale poter valutare l’impatto del clima che cambia sui propri affari: non solo i danni che potrebbero causare fenomeni metereologici estremi come alluvioni o siccità, ma anche le conseguenze del cambiamento climatico sugli approvvigionamenti e delle leggi introdotte per combatterlo sulla propria attività. Insomma per la salute delle imprese sarà sempre più determinante che la questione clima entri in misura adeguata nelle valutazioni di rischio economico e nelle strategie aziendali, un aspetto che gli industriali del nostro paese sembrano ancora trascurare.
In testa alla classifica soprattutto compagnie statunitensi, giapponesi ed europee, ma è la Cina il grande attore emergente: se nel 2004 pesava per il 6% degli investimenti in tecnologie legate al clima, nell’ultimo anno ha contato per il 24%, fa notare al Financial Times Joaquim De Lima, co-autore del report HSBC. “Penso sia solo l’inizio, la Cina sta emergendo come forza dominante in questo settore”. Il merito, spiega De Lima, è delle politiche governative di Pechino, che hanno incanalato miliardi di dollari pubblici nella green economy.
Tra le attività low-carbon (il report HSBC considera assieme a rinnovabili ed efficienza energetoca anche il nucleare e la gestione di acqua e rifiuti) quelle che promettono meglio sono quelle legate alla gestione dell’energia: soprattutto i prodotti per l’efficienza energetica e l’area delle smart grid, le reti intelligenti.
Dunque, come si vede dal report del gruppo finanziario la parte di economia attiva nel contrastare il riscaldamento globale è anche quella che meno ha risentito della crisi e che ha maggiori prospettive di crescita. C’è però anche un altro modo in cui la questione climatica influisce sul mondo degli affari: stiamo parlando dell’impatto che le conseguenze del global warming possono avere sulle varie attività economiche. Un problema che spesso le società sottovalutano e sul quale non ricevono adeguate informazioni. È questo l’argomento di uno studio pubblicato in questi giorni da CBI, la “Confindustria” britannica.
Il documento, dal titolo “Whatever the weather: managing the risks from a changing climate” (pdf ), richiede al governo di Londra di creare un sistema informativo chiaro che a partire dalle proiezioni sul cambiamento climatico nel paese, permetta alle aziende di calcolare i rischi economici che corrono a causa del global warming.
Sempre di più per le aziende infatti, spiega il report, è fondamentale poter valutare l’impatto del clima che cambia sui propri affari: non solo i danni che potrebbero causare fenomeni metereologici estremi come alluvioni o siccità, ma anche le conseguenze del cambiamento climatico sugli approvvigionamenti e delle leggi introdotte per combatterlo sulla propria attività. Insomma per la salute delle imprese sarà sempre più determinante che la questione clima entri in misura adeguata nelle valutazioni di rischio economico e nelle strategie aziendali, un aspetto che gli industriali del nostro paese sembrano ancora trascurare.