La stretta relazione tra fame, clima ed energia

Qualsiasi cosa si dica, il mondo sta andando all'indietro nella lotta alla denutrizione. Un miliardo di persone non ha cibo a sufficienza, denuncia l'ultimo report dell'ong Action Aid. Tra le cause, l'uso dei biocarburanti e i cambiamenti climatici che affossano l'agricoltura soprattutto nei paesi più poveri.

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Non stiamo andando molto in avanti nella lotta alla fame nel mondo e la colpa è anche delle politiche internazionali su clima ed energia. L’obiettivo dei “millennium development goals“, ossia dimezzare entro il 2015 la popolazione mondiale denutrita e i bambini sottopeso, si sta infatti allontanando e molto dipende anche dalle politiche di incentivazione dei biocarburanti e dall’immobilismo in materia di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. A denunciarlo è “Who’s Really Fighting Hunger?” l’ultimo report dell’ong Action Aid (vedi allegato), pubblicato proprio in vista dell’incontro dei leader mondiali per fare il punto sulla lotta alla fame nel mondo che si terrà all’Onu il 20 di questo mese.

“Stiamo arretrando”, così si intitola significativamente l’executive summary del rapporto: il numero di chi non ha cibo a sufficienza è ritornato ai livelli del 1990. Rispetto all’obiettivo del millennio di dimezzare gli affamati siamo indietro di 500 milioni di persone, vale a dire che sono un miliardo gli abitanti del pianeta cronicamente denutriti.
Africa subsahariana e Asia meridionale le zone che più hanno perso terreno. Nell’Africa subsahariana una persona su tre non ha abbastanza cibo e la previsione per il 2020 è che si arrivi ad uno su due. Nell’Asia meridionale – nonostante il Pil della regione sia triplicato negli ultimi 10 anni – la percentuale dei denutriti ha sorpassato il livello del 1990 e soffre la fame uno ogni cinque. Nonostante i progressi in alcuni paesi (Cina e Brasile in testa, ma anche in altri come il Ghana), la denutrizione, oltre all’ovvio costo umano, secondo i calcoli della ong, causa alle economie dei paesi poveri un danno di 450 milioni di dollari ogni anno: oltre 10 volte la cifra che secondo l’Onu servirebbe per raggiungere i “millennium goals”.

Cosa c’entra la fame con il clima e l’energia? Molto. Innanzitutto è proprio nei paesi più poveri e nei settori più importanti come l’agricoltura che il riscaldamento globale sta facendo i danni peggiori: si pensi solo alle recenti alluvioni in Pakistan. Stando alle previsioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) entro il 2020 gli effetti del cambiamento climatico spingeranno nell’indigenza altri 50 milioni di persone, un numero che potrebbe arrivare a 266 milioni entro il 2080.

È essenziale dunque – sottolinea Action Aid – che i paesi più sviluppati facciano il possibile per rallentare l’innalzarsi della temperatura del pianeta: entro il 2020 devono tagliare le loro emissioni almeno del 40% rispetto ai livelli del 1990,  per cercare di mantenere l’aumento della temperatura media entro 1,5 gradi. Un auspicio che – come sappiamo – verrà probabilmente disatteso: solo una manciata di paesi propone tagli oltre il 40%, L’UE al momento è ferma all’obiettivo del meno 20%, mentre giganti come gli Usa non riescono ad approvare la legge che porterebbe a riduzioni di appena il 3-4% della CO2 rispetto al 1990.

Oltre a ridurre le emissioni, i paesi ricchi, data la loro responsabilità storica per i cambiamenti climatici, dovrebbero aiutare quelli in via di sviluppo a difendersi dagli effetti del clima impazzito. Secondo le stime di Onu e ricercatori della Commissione europea agli interventi di adattamento dei paesi poveri si dovrebbero destinare 182 miliardi di dollari all’anno da qui al 2020. Per Action Aid i paesi ricchi dovrebbero stanziarne 200 ogni anno. E senza decurtarli da altri aiuti come appunto quelli contro la denutrizione. Al momento però, rileva l’ong, non esiste un solo paese al mondo che abbia messo sul tavolo più del 5% della propria quota dell’ipotetico fondo da 200 miliardi/anno.

Ad aumentare le responsabilità dei paesi ricchi infine la questione dei biocarburanti, che secondo Action Aid (e molti altri, vedi Qualenergia.it, sezione Biocarburanti), oltre ad essere controproducenti per la riduzione delle emissioni, esacerbano il problema della fame nel mondo. Secondo i dati OCSE citati dall’ong, l’uso dei biofuels da solo porterà entro il 2020 ad un aumento del prezzo delle derrate alimentari del 15%. Oltre a tenere alti i prezzi dei cereali i biocarburanti rubano terra alle colture a scopi alimentari, mettendo spesso in crisi i piccoli agricoltori e favorendo il latifondo.

Attualmente in Africa i biocarburanti si sono “mangiati” 1,1 milioni di ettari, denuncia Action Aid, l’equivalente della superficie del Belgio e altri 5 milioni di ettari (la superficie della Danimarca) stanno per essere acquisite da aziende europee che operano nel settore dei biocarburanti. Sotto accusa da parte dell’ong sono soprattutto gli obiettivi sui biocarburanti dei paesi ricchi, in primis quello europeo. Solo per soddisfare il fabbisogno derivante dall’obiettivo Ue 2020 (10% dell’energia per i trasporti da rinnovabili) , scrive Action Aid, serviranno dai 30 ai 40 milioni di ettari da destinare a colture energetiche, metà dei quali dovranno essere trovati nei paesi più poveri.
 

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