Se anche il business vuole che l’Ue tagli più CO2

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In un intervento pubblico 27 grandi compagnie incitano l'Europa ad innalzare dal 20 al 30% l'obiettivo al 2020 sulla riduzione delle emissioni. Il rafforzamento dell'obiettivo, rilanciato recentemente da Germania, Francia e Regno Unito e avversato solo da Italia e paesi dell'Est,- sarebbe essenziale per dare all'industria le certezze necessarie per investire nel low-carbon e rendere più competitivo il vecchio continente.

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Servono obiettivi più coraggiosi in materia di emissioni, l’Europa al 2020 deve tagliare la CO2 del 30% anziché del 20. Non solo per rallentare il riscaldamento globale, ma anche per favorire la competitività economica a livello internazionale. Arrivano anche dal mondo del business voci in appoggio alla proposta – rilanciata la settimana scorsa dai ministri di Regno Unito, Francia e Germania – di “innalzare” fino al -30% l’asticella dell’obiettivo europeo sulle emissioni al 2020.

Tra le 27 grandi compagnie che firmano l’appello pubblicato sul Financial Times per incitare l’Europa a rafforzare l’obiettivo, Barilla, Nestlè, Tesco, Lloyds, Vodafone e Philips. “Prezzi bassi della CO2 – spiegano le aziende – hanno minato seriamente gli investimenti domestici in tecnologie low-carbon e lo sviluppo internazionale del carbon trading. È fondamentale uscire dalla recessione ponendo le basi per una crescita low-carbon che ci eviti di imprigionarci in un futuro ad alte emissioni. Innalzando l’obiettivo l’Unione Europea interverrà direttamente sul prezzo della CO2, dando i segnali economici di cui le compagnie hanno bisogno per continuare a investire miliardi di dollari in prodotti, servizi, tecnologie e infrastrutture low-carbon.” Una presa di posizione che va ad aggiungersi al favore crescente che in ambito europeo sta incontrando l’irrobustimento dell’obiettivo sulle emissioni.

 

In un altro intervento, pubblicato sempre sul “Financial Times” lo scorso 15 luglio, ricordiamo, il ministro britannico dell’Energia e dei Cambiamenti Climatici, Chris Huhne, il ministro tedesco dell’Ambiente Norbert Roettgen e quello francese dell’Ecologia Jean-Louis Borloo avevano incitato la Ue a ridurre del 30% rispetto ai livelli del 1990, e non solo del 20%, le emissioni di gas serra entro il 2020.

L’Unione – è il nocciolo del messaggio dei tre ministri – deve innalzare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra se vuole competere a pari livello con Cina, Giappone o Stati Uniti nella corsa alle tecnologie verdi. Tanto più – si spiega – che la recessione economica da sola ha già contribuito ad un calo delle emissioni dell’11% rispetto al periodo pre-crisi e che, di conseguenza, i costi per passare al meno 30%  sono ora stimati in solo 11 miliardi di euro in più rispetto a quelli originali per l’obiettivo del 20%, mentre il prezzo pagato a livello globale per ogni anno di rinvio degli investimenti in tecnologie a basso conteuto di carbonio è quantificato dall’International Energy Agency in 3-400 miliardi di euro.

Mentre a livello politico in Europa ad essere contrari all’innalzamento dell’obiettivo sono rimasti in pratica solo l’Italia e alcuni paesi del blocco ex-socialista, le reazioni negative alla proposta di Francia, Germania e Gran Bretagna di una parte del mondo produttivo non si sono fatte attendere. Ad esempio quella dell’Unione delle Camere di commercio europee che ha definito la proposta “assurda”, “ingenua” ed “allarmante”. L’intervento sul Financial Times dei 27 colossi del business a sostegno dell’obiettivo più coraggioso ci ricorda però che non tutta l’industria la pensa così. Al contrario: sono sempre in di più a essersi resi conto dei vantaggi in termini di competitività sul lungo periodo che possono venire da leggi più severe in materia di emissioni.
 

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