Sicurezza energetica e la variabile uranio

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L'atomo è un rimedio per la dipendenza da risorse scarse e di importazione come gas e petrolio? Non proprio, e a maggior ragione per l'Italia: anche l'uranio è quasi totalmente importato e spesso da paesi molto problematici dalpunto di vista politico. Inoltre diversi sono i dubbi sulla sua disponibilità per il futuro.

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Uno degli argomenti usati da chi promuove il nucleare è quello della sicurezza energetica: l’atomo sarebbe una valida alternativa per affrancare la nostra economia dalla dipendenza da risorse limitate importate da paesi esteri spesso instabili. E’ il caso del gas russo e del petrolio mediorientale. Certo, la reperibilità del combustibile nelle centrali nucleari è un problema assai minore rispetto agli impianti energetici alimentati a fonti fossili: per l’atomo il costo del ‘carburante’ pesa solo per il 5% sul costo del chilowattora prodotto. Spesso però si dimentica che anche i reattori nucleari dipendono da una risorsa scarsa, l’uranio, non disponibile in moltissimi paesi e in gran parte dislocata in aree del mondo problematiche.


A ricordarcelo arriva l’ultimo report sul flusso da e per l’Europa di questo minerale (vedi allegato) stilato dalla Euratom Supply Agency, l’agenzia europea che ha la missione di assicurare alle nazioni del vecchio continente un approvvigionamento sicuro di combustibili nucleari. Questi dati, sintetizzati dal grafico in basso, parlano chiaro: nel 2009 solo il 2,73% dell’uranio acquistato dalle centrali europee veniva dall’Europa (tutto da Repubblica Ceca e Romania). Il restante è importato e in gran parte da paesi “caldi”.  


Se Canada e Australia restano importanti fornitori (rispettivamente 18 e 21%), la quota maggiore proviene da paesi instabili politicamente e da cui le nazioni europee dipendono già fortemente per altre risorse energetiche. Il 20% dell’uranio consumato, ad esempio, proviene dalla Russia; il 9% dal Kazakistan e il 3,5% dall’Uzbekistan. Dal Niger, paese scosso da un colpo di stato militare a febbraio e dove l’estrazione dell’uranio sta causando enormi danni ambientali e sanitari (Qualenergia.it, Niger, estrazione di uranio e strade radioattive), arriva il 10% del combustibile per il nucleare.


Immagine dal rapporto Euratom, pag 25

 

Solo poco più dell’1% dell’uranio consumato in Europa al momento viene dal riprocessamento di combustibile usato. Nel mondo gli impianti di arricchimento dell’uranio sono in mano a sole quattro società: Areva, Urenco, Rosatom e Usec. L’Italia, sia per l’approvvigionamento che per gli impianti di arricchimento e riprocessamento dell’uranio, dipenderebbe quindi interamente da altri paesi.

A questo si aggiunge l’interrogativo sull’adeguatezza delle risorse mondiali. Le proiezioni della Nuclear Energy Agency (della OECD) contenute nell’ultimo report sulle risorse mondiale di uranio (il Red Book 2007, a breve l’edizione 2009) rassicurano: ci sarebbe uranio almeno per altri cent’anni.

Ma in molti obiettano: le risorse stimate dalla NEA sono teoriche e in realtà l’uranio estraibile sarebbe molto meno. Secondo quanto scrive Erasmo Venosi, docente di fisica nucleare, “gli attuali reattori utilizzano nella stragrande maggioranza un particolare tipo di uranio che copre il fabbisogno (senza riprocessamento) fino al 2030, se si considerano le riserve note, o al massimo fino al 2060 considerando le riserve speculative (probabili o possibili).”

Anche i dati diffusi dall’ultimo report dell’International Energy Agency sulle tecnologie energetiche, Energy Technology Perspectives 2010, (Qualenergia.it, Una rivoluzione energetica alla portata delle economie mondiali), pur ottimistici per quel che riguarda lo sviluppo del nucleare, dovrebbero mettere in allarme sulla questione uranio: lo studio prevede che da qui al 2050 si usino 5,6 milioni di tonnellate di uranio, ossia “più o meno l’equivalente delle riserve di uranio convenzionale attualmente note”.

Quello della disponibilità di combustibile, purtroppo, resta però il problema minore dell’atomo: gli altri – costi, sicurezza, gestione delle scorie – sono sicuramente noti ai nostri lettori (Qualenergia.it, Sezione ‘nucleare’).

Ma dimenticando per un momento questi inconvenienti, che contributo potrebbe dare l’atomo alla lotta contro il global warming? Una risposta ce la dà proprio l’ultimo report IEA. L’Agenzia ipotizza che da qui al 2050 si realizzino 1.200 nuovi reattori con una spesa di 6mila miliardi di dollari . In questo scenario ottimistico, il contributo dell’atomo alla riduzione delle emissioni si limiterebbe comunque al 6%. Il grosso lo farebbero efficienza energetica e rinnovabili che contribuirebbero al taglio dei gas serra rispettivamente per il 58 e il 17%.

 

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