Aziende agricole a tutto biogas

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Il biogas è tra le fonti rinnovabili che meglio si integrano con il mondo agricolo, un'opportunità d'investimento che attira anche per gli incentivi recentemente introdotti. Benefici e problematiche di questi impianti a partire da un caso reale, un impianto da 700 kW in un'azienda vinicola toscana.

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Terra ed energia pulita: le rinnovabili in questi ultimi anni sono entrate sempre di più nel mondo dell’agricoltura, spesso fornendo un valido sostegno economico ad aziende altrimenti in difficoltà. Vediamo sempre più spesso spuntare piccole macchine eoliche nei campi e le serre coprirsi di pannelli fotovoltaici. Tra le fonti pulite però quelle che meglio si integrano con il mondo agricolo e zootecnico sono le biomasse, spesso utilizzate sotto forma di biogas prodotto dalla fermentazine delle stesse e bruciato per produrre elettricità.

Un investimento che sta attirando l’attenzione di molti agricoltori soprattutto dopo che, da luglio 2009 è entrato in vigore l’incentivo che riconosce 0,28 € per ogni chilowattora prodotto da questo tipo impianti se inferiori al megawatt di potenza. Rispetto al 2007 – ci spiega Sergio Piccinini, direttore del Centro Ricerche Produzioni Animali (CRPA) di Reggio Emilia – il numero degli impianti a biogas operativi con effluenti zootecnici, colture energetiche e scarti agroindustriali è cresciuto del 77% passando da 154 impianti a 273, di cui il 27% attualmente in costruzione.

Tra le aziende agricole che più puntano sugli impianti a biogas ci sono ad esempio gli allevamenti di maiali, che hanno un doppio vantaggio riutilizzando i liquami altamente inquinanti che altrimenti dovrebbero pagare per smaltire. Ma questa fonte rinnovabile ben si addice anche a diverse produzioni agricole. In Val di Cecina, in Toscana, ad esempio, l’azienda vinicola Ginori Lisci ha appena realizzato un impianto da 700 kW di potenza che produrrà circa 5,6 milioni di chilowattora all’anno, “abbastanza per soddisfare i consumi elettrici di 4 aziende vinicole e di circa 1200 famiglie”, fa notare l’amministratore delegato Luigi Malenchini.

Oltre all’elettricità, l’impianto (vedi immagine) – che brucia il biogas prodotto dalla digestione anaerobica di scarti agricoli e biomassa prodotta in loco – dà concime (“permettendoci così di usare meno fertilizzanti chimici”, ci spiegano dall’azienda, che ha in programma di passare al biologico) e calore, che al momento viene riutilizzato per i digestori dell’impianto stesso ma che in futuro servirà per riscaldare delle serre. Costo dell’investimento: 3 milioni di euro che dovrebbero rientrare in 5 anni grazie all’incentivo di 0,28 €/kWh.

Un’esperienza che, presentata così, farebbe venire voglia a molti agricoltori di imitarla. Ma le cose non sono così semplici e gli ostacoli per chi vuole realizzare questo tipo di impianti sono ancora molti come sottolinea, Cosetta Viganò esperta di bioenergie di Aper, l’associazione dei produttori di energie rinnovabili. “Uno dei problemi più rilevanti sono i processi autorizzativi, complessi e pieni di zone d’ombra, specie quando come biomassa di partenza si usano scarti che possono essere considerati rifiuti. Il sistema di incentivazione è abbastanza premiante, sia per gli impianti sotto il megawatt con la tariffa deglo 0,28 €/kWh, che per taglie superiori attraverso i certificati verdi, che garantiscono anche un premio aggiuntivo se si usa biomassa da filiera corta. Ma purtroppo manca la certezza sul lungo termine: il sistema degli incentivi è in evoluzione. È previsto un aggiornamento triennale delle tariffe, ma servirebbe più chiarezza: non è specificato se vada applicato solo sugli impianti che ancora devono entrare in funzione – come quasi sicuramente avverrà – o anche su quelli già attivi.”.

E per quel che sostenibilità ed efficienza? Questi impianti possono essere alimentati anche con colture energetiche che – come su queste pagine non abbiamo mancato di raccontare (Qualenergia.it, Sezione biocombustibili) – possono essere controproducenti dal punto di vista ambientale. Oltre che con scarti di lavorazione della vite, ad esempio, quello di Ginori Lisci è fatto funzionare con colture energetiche ad hoc: 280 ettari di mais, triticale e sorgo su terreni dell’azienda stessa in precedenza destinati all’alimentazione umana (barbabietola da zucchero e mais). Quali sono le condizioni perché la filiera del biogas resti sostenibile?

Piccinini del CRPA  che nel dimensionare gli impianti “è sempre fondamentale per l’imprenditore avere la consapevolezza che deve esserci un corretto equilibrio fra le biomasse disponibili in azienda o nelle immediate vicinanze e utilizzabili nell’impianto, oltre al terreno necessario alla gestione agronomica del digestato prodotto”. Gli fa eco Katiuscia Eroe, esperta di energia di Legambiente, “la biomassa deve essere disponibile in loco e coltivata preferibilmente su terreni residuali, ma la soluzione migliore è senza dubbio il riutilizzo di scarti e sottoprodotti delle varie lavorazioni, da quelli dell’industria alimentare a quelli della manutenzione del verde, anche qui organizzati in piccole filiere nei dintorni dell’impianto”.

Possiamo dire che il settore del biogas italiano ha davanti una prospettiva di crescita sostenibile che può contribuire al mix energetico del paese e all’economia, grazie ad una filiera industriale nazionale? “Allo stato attuale, la realizzazione degli impianti vede fortemente coinvolte tecnologie di ditte straniere, in particolare quelle tedesche e austriache – spiega Piccinini – ciò nonostante, diverse imprese italiane stanno investendo nello sviluppo di proprie tecnologie, sia per piccoli che per grandi impianti. Nel campo delle produzioni agro-zootecniche, poi, la produzione di energia elettrica rinnovabile rappresenta una grande opportunità imprenditoriale, anche per la possibilità di gestire tutto il valore aggiunto della filiera produttiva, grazie alla certezza della vendita integrale della produzione e la presenza di un unico acquirente obbligato ad acquistare ad un prezzo garantito per un periodo di tempo prefissato, generalmente, molto più lungo dei tempi di ritorno dell’investimento. Infine, il settore biogas può avere prospettive ancora più interessanti se si favorisce l’utilizzo del biogas, dopo purificazione a metano al 95-98%, da utilizzare per l’autotrazione e l’immissione nella rete di distribuzione del gas naturale.”
 

 

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