Priorità e incentivi per le agroenergie nel Piano di Azione

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Un position paper di diverse organizzazioni chiede al Governo di considerare nel PNA sulle rinnovabili al 2020 la produzione di energia da biomasse all'interno di un quadro di sviluppo del settore agricolo e forestale, piani di sviluppo per il biometano, la ricerca dei biocarburanti di nuova generazione e incentivi più coerenti e stabili.

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Nell’ambito della bozza del Piano di Azione Nazionale sulle rinnovabili (sintesi in pdf) presentato nei giorni scorsi dal Ministero dello Sviluppo Economico il settore delle biomasse riveste un ruolo di primaria importanza. Sommando gli obiettivi di energia da fonti rinnovabile per il 2020 ripartiti in elettricità, calore/raffrescamento e trasporti, a tutte le biomasse solide (in larga parte biomasse legnose), gassose (biogas e biometano) e liquide (biocarburanti) viene richiesto di produrre il 44% di tutta l’energia da fonti rinnovabili a fine decennio.
In particolare, le proiezioni del piano indicano che l’energia attesa da rinnovabili al 2020 sarà pari a 22,3 milioni di tonnellate equivalenti petrolio (Mtep). Il Piano ha assegnato alla biomassa il compito di produrre il 20% dell’elettricità, il 58% del calore e l’84% sui trasporti.

Fiper, Anci, Cia, Coldiretti, Aiel, Itabia, Legambiente, Uncem hanno sottoscritto a questo riguardo un breve documento programmatico (pdf) che favorisca lo sviluppo delle bioenergie agricole proprio nell’ambito del Piano di Azione Nazionale. Il documento chiede al Governo italiano di definire, insieme agli obiettivi quantitativi, un quadro coerente di criteri di priorità e di incentivi per le biomasse “che da una parte dia certezze agli operatori e agli agricoltori sugli investimenti da qui al 2020 e che dall’altra premi realmente la produzione agricola e l’efficienza energetica delle filiere”. Il tutto affinché la produzione di energia da biomassa continua ad essere un’attività integrativa e non sostitutiva dell’agricoltura.

Uno sviluppo corretto delle agrienergie dovrà essere innanzitutto decentralizzato e integrato con le economie agricole locali e i contesti territoriali. Tuttavia bisognerà evitare che tale decentramento “produca, da una parte, un puzzle di norme e di criteri di valutazione e dall’altra una proliferazione di impianti che nulla hanno a che fare con l’agricoltura locale e con le risorse del territorio”.

A questo scopo le organizzazioni firmatarie del documento chiedono che i criteri di calcolo della quota di produzione di energia da biomasse che ogni Regione dovrà garantire per il rispetto agli obiettivi nazionali (Burden Sharing) sia basati sulle potenzialità effettive e le vocazioni agricole dei diversi territori, sia in termini di colture dedicate che di residui agroindustriali, zootecnici e forestali.

Servono poi delle Linee guida che consentano il riconoscimento del ruolo di carbon sink dell’agricoltura. Queste potrebbero assicurare una base adeguata di calcolo per tutti i potenziali co-prodotti delle colture energetiche dedicate e per la quantità di sostanza organica resa al suolo.
Una simile metodologia favorirebbe un diverso criterio di valutazione economica delle colture (produttività totale contro resa per ettaro), strettamente correlata alla efficienza energetica di metodi di coltivazione, al bilancio di emissioni dell’intero ciclo di lavorazione dei prodotti e dei co-prodotti e alla massimizzazione della quota immobilizzata nel terreno sotto forma di humus stabile.

In riferimento ai biocarburanti e all’obiettivo del 10% al 2020, le organizzazioni chiedono al Governo che il Piano nazionale indichi tra le sue priorità lo sviluppo del biometano e la ricerca e sviluppo dei biocarburanti di nuova generazione.

Riguardo al biometano si afferma che gli effluenti zootecnici e gli scarti agroindustriali, insieme alle frazioni organiche dei rifiuti urbani, sono l’unica biomassa presente in enormi quantità nel nostro paese con un potenziale energetico stimato tra i 10 e i 12 Mtep (Itabia 2008) e ad oggi sono scarsamente utilizzati a tal fine. In effetti dal biogas si potrebbe ottenere un metano al 95-98% (biometano) che può essere immesso nella rete e utilizzato sia per usi civili che per trazione, con un importante riduzione delle emissioni di CO2 equivalente.
Si ricorda anche che la Germania prevede di mettere in commercio 6 miliardi di mc/anno di biometano fino al 2020, mentre in Italia manca un piano di sviluppo per questa fonte, che avrebbe un fondamentale bisogno di un incentivo ad hoc, eventualmente quantificato sulla base del potere calorifico immesso in rete.

Sulla ricerca si richiede più attenzione alle tecniche di estrazione di biocombustibili liquidi dai residui ligno-cellulosici e dagli scarti agroalimentari, perché il nostro paese ha una capacità produttiva globale di biodiesel e bioetanolo di circa 2 Mton/anno, ma con una superficie agricola limitata e frazionata l’obiettivo del 10% potrà essere raggiunto solo in due modi: o ricorrendo, come avvenuto finora, a un’ampia importazione di materie prime per biocarburanti liquidi, senza alcuna ricaduta economica per le nostre economie rurali, oppure stimolando la sperimentazione e lo sviluppo dei biocarburanti di derivazione cellulosica. Questa strada consentirebbe un adeguato impiego della enorme quantità (non ancora correttamente censita) di residui forestali e agroindustriali del Paese.

Il documento esprime un parere anche sugli incentivi alla produzione energetica da biomasse e sulla loro stabilità nel tempo. La tariffa onnicomprensiva (0,28 euro/kWh per la produzione di elettricità in impianti di potenza inferiore a 1 MW alimentati da biogas e biomasse) di fatto non fa differenze tra biomasse agroforestale, sottoprodotti agroindustriali e frazioni organiche dei rifiuti urbani, non premia l’efficienza energetica (quindi non la cogenerazione ma solo la produzione elettrica), non riconosce (al contrario di quanto sta definendo per la maggiorazione dei certificati verdi) la maggiore sostenibilità economica e ambientale di impianti alimentati da biomasse di origine locale o provenienti da filiere corte.

Inoltre, poiché l’incentivo di 28 centesimi è molto elevato c’è un forte rischio di non poter essere garantito nei prossimi anni a tutte le tipologie di impianto. Pertanto la proposta è quella di una tariffa stabile fino al 2020, indicizzata e modulare sul modello tedesco ed eventualmente considerare dei “premi” per l’utilizzo del calore, per le filiere corte e per le aziende agricole che hanno una quota di autoproduzione.

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