L’Europa aprirà le porte alle sabbie bituminose?

L'implementazione della direttiva UE "Qualità Carburanti" rischia di considerare equivalenti in termini di emissioni il petrolio convenzionale e quello da sabbie bituminose, contro ogni evidenza scientifica. Ciò vorrebbe dire spianare la strada ad un'industria ad alte emissioni che sta già producendo un danno ambientale delle dimensioni della catastrofe del Golfo del Messico.

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Da una parte gli ambientalisti e le loro denunce sull’impatto devastante delle sabbie bituminose, dall’altra il governo dello stato canadese dell’Alberta in missione in Europa per difendere il suo export, in mezzo la legislazione europea sulle emissioni dei combustibili. Una battaglia con una posta in gioco che va oltre i confini del vecchio continente: servirà a stabilire se le sabbie bituminose dovranno essere penalizzate per la loro pesante impronta in termini di emissioni o se dovranno essere considerate al pari degli altri combustibili fossili. E’ quella che si sta combattendo a colpi di report e missioni diplomatiche attorno all’implementazione della direttiva Ue sulla qualità dei carburanti

La prima parte della storia suonerà come già sentita ai lettori di Qualenergia.it: l’ennesimo report (vedi allegato) che denuncia il costo ambientale delle sabbie bituminose (Qualenergia.it, L’ultima spiaggia del petrolio). Un documento in cui Friends of the Earth ricorda che per ottenere greggio dalle sabbie bituminose comporti da 3 a 5 volte più emissioni rispetto al petrolio convenzionale e che a questo impatto vadano ad aggiungersi deforestazione, enorme consumo d’acqua e pesante inquinamento (l’estrazione lascia al posto della foresta delle pozze tossiche). “L’Europa – denuncia Friends of the Earth – rischia di diventare una ‘canaglia del clima’ se non si muove per impedire l’entrata del petrolio da sabbie bituminose nei mercati europei“.

Un’azione, quella di chiudere la porta in faccia al petrolio sporco, o quanto meno penalizzarne l’import, che l’Ue potrebbe intraprendere attraverso la direttiva sui carburanti, la cui definizione è attualmente in lavorazione. Ecco spiegato il perché la settimana scorsa Rob Renner, il ministro dell’Ambiente dell’Alberta (la provincia canadese primo produttore mondile di greggio da sabbie bituminose), si aggirava tra Bruxelles e Strasburgo. Armato di brochures sul ‘futuro energetico pulito dell’Alberta’ – racconta Europeanvoice – ha incontrato membri della Commissione e del Parlamento europeo per convincerli che l’industria delle tar sands non è peggiore delle altre produzioni di combustibili fossili.

La missione di Renner rischia di avere un buon esito. Nel testo che implementa la direttiva Qualità Carburanti (adottata nel 2008 e che obbliga le compagnie petrolifere e del gas a ridurre le proprie emissioni del 10% entro il 2020), diversamente da quanto previsto in una prima fase, si tratta il petrolio da sabbie bituminose come se avesse le stesse emissioni del petrolio convenzionale. Una modifica che è stata condannata da più parti e che avrebbe diversi oppositori all’interno della stessa Commissione Ambiente: anche considerando le stime più generose (ad esempio gli studi del Cambridge Energy Research Associates), le emissioni sarebbero superiori almeno del 5-10%. Solo quest’estate sapremmo se questa parificazione forzata tra petrolio convenzionale e non-convenzionale sarà mantenuta nel testo.

Se così fosse per le sabbie bituminose sarebbe una vittoria che spianerebbe la strada a questa fonte anche al di fuori dell’Europa, dato che difficilmente altre nazioni adotteranno classificazioni più severe se non lo farà l’Ue. Se questo petrolio sporco venisse considerato – contro ogni evidenza scientifica – equiparabile al greggio convenzionale in termini di emissioni, le sabbie bituminose vedrebbero così rimosso uno dei possibili limiti alla loro competitività sul mercato.

Limiti che, detto per inciso, restano molti: in queste settimane è arrivato un altro report (vedi secondo allegato) che quantifica i rischi economici per chi investe nelle sabbie bituminose. Queste le conclusione del lavoro presentato da CERES, una coalizione di investitori attenti alla questione climatica: l’industria delle sabbie bituminose, tra possibilità di dover ripagare il danno ambientale, incertezze legate al prezzo dell’energia e ad eventuali leggi anti-emissioni, presenta rischi economici maggiori che non quella delle trivellazioni off-shore. Il solo danno ambientale che si sta consumano per estrarre dalle sabbie dell’Alberta gli attuali 1,3 milioni di barili di petrolio – secondo gli autori del report, la società di consulenza RiskMetrics Group – è come la perdita del pozzo nel Golfo del Messico, solo vista al rallentatore”.

Se il danno che si sta facendo nelle foreste boreali dell’Alberta, sotto alle quali riposano mischiati alla sabbia 172 miliardi di barili di greggio, si fermerà o piuttosto verrà esteso in altre parti del mondo, come Angola, Congo (Qualenergia.it, Investimenti discutibili dell’Eni in Congo), Russia e Venezuela, dipenderà anche dalla legge europea, che sarà un segnale per il resto del mondo.

Speriamo che il messaggio dell’Europa sarà che, se si vuole salvare il pianeta dagli effetti peggiori del global warming, non si può pensare di sostituire il greggio convenzionale (che secondo molti scarseggierà già nei prossimi anni) con una sua variante ancora più sporca.
 

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