Pubblicità progresso con spot pro-atomo

Berlusconi ha dichiarato che grazie alle televisioni convincerà gli italiani della bontà del ritorno al nucleare. In Italia invece servirebbe un serio dibattito democratico, a partire dalle informazioni sui potenziali rischi per chi vive nei dintorni delle centrali.

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I grandi gruppi energetici sono pronti al banchetto del nucleare e i “camerieri”, Scajola e Berlusconi, stanno per apparecchiare loro la tavola. Con un po’ di “sana informazione”, magari a colpi di spot televisivi per far capire agli italiani, disinformati dalla propaganda ambientalista, quanto è bello, utile e anche innocuo l’atomo nello stivale.

La chiamata alle armi (cioè alle televisioni) di Berlusconi, proprio il giorno dell’anniversario del disastro di Chernobyl, dovrebbe mettere in guardia chi non può accettare questa eventualità. E allora per far valere le proprie ragioni dovrà confrontarsi nei prossimi mesi ed anni, comune per comune, cittadino per cittadino. Ne sarà capace? Ne saremo capaci? O verremo schiacciati da questo nuovo dirigismo italico? Un approccio, quello del governo, che non punta ad un naturale e democratico dibattito (in verità avutosi con il referendum del 1987) per informare i cittadini sui pro e i contro di una scelta molto delicata per il futuro, ma che vuole imporre, con un bombardamento mediatico, le ragioni dei potentati economici. Perché di questo si tratta. E questo accadrà, conoscendo l’Italia di questi anni.
I cantori del rinascimento nucleare presenziano sulle testate nostrane e forniscono interessanti vademecum su “Come spiegare l’atomo agli italiani” (Umberto Minopoli, Il Riformista), ma molti di questi hanno o avevano strette relazioni con chi si appresta a fare tanti utili probabilmente con i soldi dei contribuenti, e fin da subito, mentre invece il primo kWh nucleare, semmai sarà, verrà generato nel prossimo decennio.

Su queste pagine negli ultimi mesi abbiamo riportato numerosi e dettagliati dati economici ed energetici sul nucleare, citato numerose pubblicazioni, articoli e video che forniscono analisi sempre lontane dagli interessi economici di chi spinge per un ritorno al nucleare, ma non ideologiche o demagogiche come i sostenitori dell’atomo ripetono in continuazione.
Il tema è complesso e non dovrebbe essere banalizzato da nessuna parte. Tuttavia non si possono accettare affermazioni del tipo: “in 60 anni di operatività del nucleare civile il solo incidente significativo, con esiti mortali (55 persone), che si registrato è quello di Chernobyl”. Qual è la fonte di questo dato citato da Minopoli?

Greenpeace, quattro anni fa, ha reso pubblico uno studio di scienziati dell’Accademia delle Scienze ucraina e bielorussa, che stimava che nel lungo periodo si potranno raggiungere 100mila vittime per tumori. Ma gli impatti sulla popolazione locale continueranno a persistere per decenni e, a 24 anni di distanza, si continuano ad avere nuove vittime. In Bielorussia, Russia e Ucraina furono contaminati tra i 125mila e 146mila chilometri quadrati di territori tanto da richiedere la loro totale evacuazione.
Le stime sulla mortalità causate da Cernobyl variano a seconda dei parametri presi in esame. Una recente ricerca epidemiologica, pubblicata anche qui da Greenpeace in collaborazione con l’Accademia Russa delle Scienze, mostra che gli studi precedenti erano stati fin troppo cauti. Se l’AIEA nel 2005 parla “di soli” quattromila morti, le statistiche più recenti stimano invece in 200mila le morti dovute all’incidente di Cernobyl, tra il ’90 e il 2004, prendendo in esame solo Ucraina, Bielorussia e Russia. Ma sappiamo che livelli di radioattività significativi da Cesio-137 possono ancora essere riscontrati in Scozia e in Grecia.

Qualcuno potrebbe controbattere che qui ci troviamo di fronte ad una tipologia di disastro per molti versi irripetibile per livello di gravità. Carlo Rubbia fa però presente che “Non esiste un nucleare sicuro. Esiste un calcolo delle probabilità, per cui ogni cento anni un incidente nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle centrali”.

In questi anni c’è stato tuttavia uno stillicidio di incidenti minori, da non sottovalutare. Recenti i casi nella centrale di Tricastin, in Francia o altri episodi in Spagna e Slovenia. Si può ricordare una reazione nucleare incontrollata che ebbe luogo nel 1999 nell’impianto di produzione del combustibile nucleare di Tokai-Mura, in Giappone, dove morirono due lavoratori e la radiazione si sprigionò nell’area circostante. Nel 2006 si sfiorò poi l’incidente nucleare presso un reattore a Forsmark, in Svezia, quando i generatori di back-up si incepparono, lasciando la centrale senza elettricità. Nel 2007 un terremoto in Giappone ha costretto a bloccare 7 reattori nella centrale di Kashiwazaki-Kariwa addirittura per un anno.

E’ vero, si tratta di incidenti fortunatamente circoscritti al sito nucleare. Ma va allora menzionato uno studio relativamente recente del governo tedesco, poco conosciuto all’estero, che ha evidenziato un aumento del 220% dei casi di leucemia e del 160% per quelli di cancro tra i bambini fino ai 5 anni di età che vivono entro i 5 km da un reattore nucleare. (Qualenergia.it, I rischi della modica quantità di radiazioni). Lo studio, denominato KiKK (in tedesco è l’acronimo di cancro infantile in prossimità di centrali nucleari), è purtroppo statisticamente rilevante ed ha riaperto il dibattito in Germania.
Quando si aprirà invece quello in Italia?

LB

28 aprile 2010

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