Ripartiamo dalla buona notizia: per l’Europa, ha spiegato davanti al Parlamento europeo la commissaria all’Ambiente (vedi presentazione in allegato), ridurre le emissioni del 30%, anziché del 20% al 2020 è “tecnicamente ed economicamente fattibile”. Anzi, costerebbe molto meno di quello che si era calcolato in precedenza: nel 2008 il costo di una riduzione del 20% nel contesto del pacchetto clima-energia era stato stimato in 70 miliardi di euro. “Ora le nuove analisi che saranno presentate a giugno – ha spiegato la Hedegaard – mostrano che ridurre del 30% sarebbe solo moderatamente più costoso. La stima di 70 miliardi fatta nel 2008 ora è stata rivista al ribasso di circa un terzo. E se si mettono in conto anche i benefici per la qualità dell’aria e i risparmi per la minor quantità di combustibili fossili importati il 30% diventa ancora meno caro”
L’Europa, dunque, non ha affatto rinunciato ad innalzare il suo obiettivo e a restare leader internazionale nella lotta al global warming . “Molti paesi – ha spiegato la commissaria danese – condividono la nostra visione che a Cancun (l’incontro sul clima di fine anno, ndr) devono essere prese decisioni specifiche (integrare l’accordo di Copenhagen nei negoziati Onu, finanziamenti fast-start, obiettivo dei 2°C, REDD, adattamento).
Una brutta notizia per i negoziati mondiali sul clima arriva intanto dalla politica interna statunitense: la legge sul clima, bloccata al Senato è incappata incappa in un altro ostacolo. Lindsey Graham, senatore repubblicano della South Carolina che stava collaborando alla versione di compromesso del Climate Bill, ha tolto il suo sostegno per frizioni con la maggioranza del Senato (che avrebbe voluto anteporre la discussione di una riforma della legge sull’immigrazione a quella sul Climate Bill). Risultato: la presentazione della bozza della legge che dovrebbe ridurre le emissioni Usa è stata posticipata a tempo indeterminato.
Nella versione originale, prima cioè dell’annacquamento per cui sta passando, il Climate Bill prevede per gli Usa entro il 2020 un taglio delle emissioni del 17% rispetto al 2005, ossia di un 3-4% rispetto ai livelli del 1990. Troppo lontano da quello che chiedono ai paesi ricchi i popoli indigeni, i movimenti sociali e le aasociazioni ambientaliste, riunitisi la settimana scorsa a Cochabamba, in Bolivia, per il World People’s Conference on Climate Change and the Rights of Mother Earth: secondo il documento conclusivo della conferenza, i paesi ricchi – che dal 1990 al 2007 hanno aumentato le loro emissioni dell’11,2% – devono ridurre la CO2 del 50% dai livelli del 1990 entro il 2017.
GM
28 aprile 2010