Cogenerazione a stento

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Una babele normativa impedisce il decollo della cogenerazione che ha invece ottime potenzialità. Un articolo di Dario Di Santo della FIRE, Federazione Italia Risparmio Energetico, pubblicato sul primo numero del 2010 della rivista QualEnergia.

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Le buone intenzioni in Italia ricordano troppo spesso quei palazzi di cui si costruisce solo la struttura portante, scheletri senza muscoli e anima. Ed è un peccato, perché le buone idee non mancano. La cogenerazione è un esempio emblematico di come non basti introdurre nuove leggi o nuovi incentivi, se poi non vengono emanati i previsti decreti attuativi o se non vengono pubblicate le delibere previste da parte dell’Autorità.

Il problema è serio perché si sommano i ritardi inevitabili in istituzioni spesso sottodimensionate rispetto ai troppo ottimistici tempi imposti dai provvedimenti legislativi, con la smania del legislatore, stimolato dalle lobby di turno, di intervenire continuamente. Ciò fa sì che alcuni provvedimenti attuativi in stato di bozza avanzata non vengono emanati perché nel frattempo intervengono modifiche o proposte di modifica a livello primario a cambiare le regole del gioco, come nuove leggi e disegni di legge. In pratica un sistema in cui tutti sono colpevoli e allo stesso tempo nessuno lo è.

La sintesi che segue serve a stimolare una riflessione sul sistema nel suo complesso e sulla cogenerazione in particolare, visto che si tratta di una delle soluzioni fondamentali per arrivare a impiegare meglio le preziose e costose risorse energetiche di cui abbiamo bisogno, consentendo in media di ottenere un risparmio in fonti primarie del 20-30%, importante anche ai fini del raggiungimento degli obiettivi comunitari su emissioni e rinnovabili. Non per niente è una delle poche soluzioni che può vantare una direttiva comunitaria dedicata, la 2004/8/CE. E del resto i Governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio in Italia sono intervenuti a più riprese con leggi e decreti legislativi per promuoverla.

Ecco a seguire un piccolo elenco di provvedimenti favorevoli (almeno in parte) alla cogenerazione:
• D.M. 20 luglio 2004 (incentivazione con certificati bianchi);
• legge 239/2004 (omologazione per impianti sotto il MWe e certificati verdi per teleriscaldamento cogenerativo);
• D.M. 3 novembre 2004 (progetti pilota per mini e microcogenerazione);
• D.Lgs. 20/2007 (semplificazioni autorizzative sotto il MWe, incentivazione con certificati bianchi potenziata, scambio sul posto fino a 200 kWe, accesso agevolato alle reti);
• atto AEEG 54/2007 (possibilità di esercire impianti di generazione distribuita da parte di un soggetto terzo come una ESCO in presenza di un solo punto di connessione con la rete nella titolarità di un utente finale);
• D.Lgs. 115/2008 (semplificazioni amministrative sotto i 300 MWt, sistemi efficienti di utenza – SEU);
• D.L. 78/2009 (certificati verdi per il calore prodotto da impianti di teleriscaldamento al servizio di aree agricole);
• legge 99/2009 (certificati bianchi a 10 anni, DIA per impianti sotto il MWe);
• leggi finanziarie 2007-2008 (IVA al 10% per fornitura energia termica, fondo Kyoto).

In neretto sono indicate le disposizioni non ancora attuate o di cui non si hanno notizie circa la concreta attuazione, al marzo 2010. I certificati verdi per il teleriscaldamento hanno avuto vita breve (inutile evidenziare gli strascichi sui diritti acquisiti, anche perché non era l’idea di promuovere il teleriscaldamento a essere sbagliata, ma lo strumento scelto, troppo sensibile ai ricordi della gestione inefficiente del CIP 6/92).
I certificati bianchi (TEE) per usi industriali sono limitati nei settori tradizionali per la cogenerazione dagli effetti dell’addizionalità, mentre per gli usi civili la situazione è desolante, visto che le relative schede di valutazione dell’Autorità – la 21 e la 22 – non producono TEE per i richiedenti dal luglio del 2006, da quando in seguito a un ricorso al TAR, con sentenza definitiva del Consiglio di Stato del dicembre 2008, le schede sono state sospese.

L’IVA al 10% era in realtà già usufruibile da prima nell’ambito del servizio energia e il Fondo Kyoto ancora non risulta attivato nonostante la pubblicazione del relativo decreto attuativo. Tutti i provvedimenti relativi alle semplificazioni, importanti soprattutto per piccoli impianti, non hanno ancora avuto riscontro e il tema degli oneri per l’accesso alle reti sembra una telenovela: dopo il passo avanti dell’atto 54/2007 dell’AEEG, che in sintesi rendeva operativo il modello delle ESCO e del finanziamento tramite terzi per la generazione distribuita, sono intervenuti le limitazioni dei SEU (“agevolazioni” solo per gli impianti a fonti rinnovabili e cogenerativi ad alto rendimento sotto i 10 MWe e area nella titolarità o piena disponibilità dell’utente finale) e le previsioni della legge 99/2009 circa l’applicazione dei corrispettivi di rete (oneri di sistema, dispacciamento, trasporto) anche all’energia elettrica autoconsumata per i sistemi normali e i SEU (ma non per le reti efficienti di utenza – RIU – non caratterizzate da alcun vincolo di efficienza).
Per fortuna lo schema di decreto di modifica del D.Lgs. 115/2008 approvato lo scorso 17 dicembre prevede un miglioramento almeno sul secondo punto (a fine marzo 2010 il provvedimento non è ancora stato approvato, a causa del blocco delle riunioni della Conferenza Stato-Regioni e Unificata).

Provvedimenti isolati
Risulta evidente che di provvedimenti a favore della cogenerazione attuati e comunque funzionanti ce n’è ben pochi. Sul fronte contrario, invece, le novità non sono mancate. Alcuni benefici prima usufruiti dai cogeneratori, come l’esonero dall’obbligo di acquisto dei certificati verdi sull’energia cogenerata per i soggetti obbligati, sono in fase di eliminazione e potranno avere conseguenze negative per una parte degli impianti in esercizio.
Altri, come l’agevolazione fiscale sui combustibili per impieghi civili o quelle per il teleriscaldamento, sono ormai limitati a particolari categorie di utenza o di fonti. Il risultato paradossale è che rispetto alla situazione precedente alla pubblicazione della direttiva europea il ricorso alla cogenerazione risulta oggi più ostacolato che favorito, con gli oneri nuovi che economicamente superano i benefici, almeno in molti casi.
Le conseguenze di tutto ciò si traducono in un’opportunità mancata soprattutto nel settore industriale e nei microimpianti, mentre il settore terziario regge, ma non cresce, soprattutto per taglie piccole (sotto i 500 kWe). È un peccato, visto che il GSE afferma che se si sfruttasse il potenziale disponibile (ammodernamento 700 MWe e nuovi impianti 7.000 MWe) si potrebbero risparmiare circa 2 Mtep, che si aggiungerebbero ai circa 4,5 Mtep attuali.

Vale la pena di ricordare, anche per fare un po’ di chiarezza, che occorre porre attenzione al tema statistiche. Le due fonti principali al riguardo in Italia sono Terna e il GSE. Riferendosi alle definizioni in vigore dall’emanazione del D.Lgs. 20/2007, mentre la prima riporta nei suoi rapporti gli impianti di “cogenerazione” (103 TWhe nel 2008), ossia alla produzione combinata di energia elettrica e calore che non rispetta necessariamente i limiti sul risparmio minimo di energia primaria, il secondo si limita alla “cogenerazione ad alto rendimento – CAR”, ossia a quella cui spettano i benefici previsti dal legislatore (21 TWhe nel 2008).

In genere quando si parla di cogenerazione ci si riferisce alla CAR, ma occorre fare attenzione ai possibili fraintendimenti. Da sottolineare inoltre come l’introduzione dal 2011 del PES comporterà conseguenze importanti sugli impianti di cogenerazione, sulle statistiche e potenzialmente sul riconoscimento degli incentivi, in quanto solo una parte dell’energia elettrica prodotta sarà considerata cogenerativa ad alto rendimento.
Ciò rischia di avere ripercussioni soprattutto su alcune tipologie di impianti (quelli operanti sotto i limiti di rendimento di primo principio indicati dalla direttiva e quelli di teleriscaldamento nei primi anni di funzionamento, quando la rete non è ancora funzionante a regime).

Legislazione incoerente
Per ottenere i benefici sperati non servono grandi innovazioni, ma un po’ di buon senso, che si può condensare nei seguenti punti:
• la pubblicazione del decreto ministeriale sui certificati bianchi, che potrebbe prevedere un incentivo funzione del calore ceduto alle utenze e dei coefficienti premianti per alcune soluzioni necessitanti di un maggiore supporto e considerate strategiche per la promozione di nuove attività imprenditoriali produttive; a esso seguirebbero nuove schede dell’AEEG;
• la ridefinizione dei SEU affinché promuovano i sistemi efficienti invece di penalizzarli (già lo schema di modifica del D.Lgs. 115/2008 prima citato va nella giusta direzione, anche se non è sufficiente) e in particolare le ESCO e il finanziamento tramite terzi;
• la verifica degli effetti indotti dalle semplificazioni attuate e l’avvio dei provvedimenti ancora congelati.

Nel frattempo sarebbe opportuno evitare di continuare a chiedere modifiche legislative non organiche, onde evitare il perdurare di provvedimenti solo teorici. Ciò che servirebbe di più, comunque, è una riflessione sulle modalità con cui si legifera in questo Paese. In particolare servirebbe una verifica degli effetti degli emendamenti proposti nell’ambito dei disegni di legge – prevista, ma spesso disattesa – per evitare di pubblicare commi belli sulla carta ma inattuabili, e un tentativo di rispettare le tempistiche di attuazione (il che è difficilmente fattibile se queste sono troppo ottimistiche e se non si strutturano adeguatamente le istituzioni chiamate a questo compito).

Un aiuto in questo senso potrebbe venire da strutture statali come l’ENEA o il GSE o dall’utilizzo produttivo di una parte degli incentivi destinati agli impianti (al crescere delle applicazioni di generazione distribuita aumenterà il carico di lavoro degli enti coinvolti nelle autorizzazioni e dei gestori di rete e, in assenza di rinforzi, è prevedibile un peggioramento della situazione sulle tempistiche, già poco rispettate). È inutile investire soldi pubblici nell’incentivazione di impianti se non se ne destinano a sufficienza alle strutture coinvolte nel rilascio dei permessi, nel monitoraggio e nella verifica dei risultati e nel comparto produttivo, affinché sviluppi nuove soluzioni e prodotti nazionali.

Dario Di Santo

Articolo pubblicato sul n.1/2010 della rivista bimestrale QualEnergia

9 aprile 2010

 

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