Quale futuro per gli usi termici delle biomasse?

Quali possono essere le ricette normative ed economiche per stimolare il mercato dell'energia termica da rinnovabili e in particolare da biomasse in Italia. Intervista a cura della Fiper a Giuseppe Tommassetti, vicepresidente FIRE.

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In questi giorni di “grande freddo”, ritorna in voga il tema della sicurezza degli approvvigionamenti per garantire la domanda di energia termica, spesso considerata “second best” rispetto all’energia elettrica. Approfittiamo dell’attenzione alta per affrontare i nodi cruciali per lo sviluppo degli usi termici delle biomasse legnose ed agricole.
Ricordiamo che la direttiva della Commissione Europea sul “20-20-20” fa riferimento, per la percentuale da fonti rinnovabili ai consumi finali di energia. Qual è dunque il contributo che le rinnovabili termiche possono fornire per il raggiungimento del 17% di produzione di energia da fonti rinnovabili?

Le rinnovabili termiche, infatti, pur presentando un minore costo di generazione a parità di energia finale prodotta, non sono state oggetto in Italia della stessa attenzione dedicata alle rinnovabili elettriche sia in termini di incentivi statali che di investimenti industriali.
Ne parliamo con l’ingegner Giuseppe Tomassetti, vicepresidente della FIRE, presidente della TCVVV e della sezione fonti rinnovabili del CTI, attivo sui temi dell’energia dal 1961con particolare attenzione agli usi finali.

Domanda – Dal 18 Novembre 2009 il GSE diviene Gestore dei Servizi Energetici e il GME Gestore dei Mercati Energetici, quest’ultimo impegnato anche nel settore del gas naturale. Ritiene verosimile che al GSE venga attribuito nei prossimi mesi il ruolo di regolatore degli usi termici delle fonti rinnovabili alla luce della Direttiva 20 20 20?

Tomassetti – Non è facile individuare percorsi logici che colleghino le varie decisioni politiche perché accanto alle urgenze e priorità del Sistema paese, ci sono la cucina politica quotidiana dei partiti e le diverse modalità con cui le strutture rispondono agli stimoli. Ogni legge indica obiettivi e dispone delle risorse ma chi “pone mano a esse?” e impedisce che restino inapplicate? La Pubblica Amministrazione fornisce pareri di conformità ma non promuove e non sceglie fra le proposte degli operatori.

Ogni epoca propone le sue soluzioni. 50-60 anni fa l’economia mista si rivolgeva alle grandi strutture pubbliche, ENI, ENEL e IRI, spesso monopoliste, per realizzare gli obiettivi del governo. Oggi, in uno schema europeo di mercato più aperto (ma c’è chi come la Francia si è tenuta i suoi leader invece di venderli per fare cassa), si propongono Autorità per l’energia elettrica e Gas (AEEG), istituita nel 1995 e strutture di gestione come il Gestore dei Servizi Energetici- GSE.

Il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN), nato nel 1999 per gestire gli aspetti di monopolio naturale (rete di trasmissione e distribuzione) del vecchio monopolio verticale ENEL, nel 2005 scorpora TERNA, (ceduta successivamente in parte a fondi esteri) e diventa Gestore dei Servizi Elettrici (GSE), società per azioni con unico azionista, il Ministero dell’Economia, con l’incarico di gestire l’operatività degli interventi pubblici economici nell’energia elettrica. La legge del 23 Luglio 2009, n. 99 ne estende i compiti a tutte le forme di energia. Il 18/11/2009 il ministero azionista, che esercita i poteri d’indirizzo d’intesa col Ministero dello Sviluppo Economico, formalizza il nuovo ruolo e il nuovo nome: Gestore dei Servizi Energetici. Il GSE si è conquistato questo nuovo spazio per aver ben gestito il ruolo precedente e aver dimostrato di sapersi organizzare nell’assorbire il carico di lavoro che deriva dai vari provvedimenti.
Nella pratica questo significa che, se ci saranno in futuro provvedimenti economici nel settore del calore, sarà il GSE a gestire e a controllare. Per il momento non ci sono nuovi provvedimenti sull’energia termica; infatti, l’attenzione del GSE è tuttora dedicata all’elettricità.

Perché la Direttiva 20-20-20 non effettua alcun distinguo per il target del 17% di produzione di energia elettrica e termica da fonti rinnovabili, equiparando di fatto il kWh termico ed elettrico?

I vincoli della Direttiva 20-20-20 sono stati assegnati sugli usi finali, perché creano meno “dispute” politiche e non mettono in discussione le scelte di politica energetica che ogni Stato membro ha attuato nel passato recente. Sarebbe estremamente arduo, conciliare le scelte tedesche per l’uso del carbone e del nucleare, quelle francesi per il nucleare, le italiane sul gas, o le svedesi sull’idroelettrico. Un “compromesso” sarebbe stato inevitabile se si fosse posto il vincolo sulle fonti primarie. Invece, la Commissione richiede ai 27 Stati di migliorare il proprio livello di prestazioni energetiche rispetto a quello iniziale del 2005, in accordo con l’idea che il risultato possa avere un valore in sé, quale sfida tecnologica europea, e non certo un effetto visibile sull’ambiente rispetto all’eventuale ruolo di Usa e Cina. Da segnalare, inoltre, forti differenze nell’assunzione di dati fra le statistiche Eurostat e quelle italiane; infatti se utilizzassimo la metodologia Eurostat, i nostri consumi di fonti primarie risulterebbero ridotti di 8-9 Mtep.

Ogni scelta porta con sé degli svantaggi: per noi italiani equiparare un kWh elettrico ad uno termico ci sembra un errore scolastico. Non abbiamo mai avuto sufficiente capacità produttiva nazionale al fabbisogno del Paese, importando il 15-20% di idrocarburi e gas, consapevoli del fatto che per generare un kWh elettrico servono da 2 a 3 kWh di preziosi combustibili importati. Nel resto d’Europa, invece, carbone e nucleare sono disponibili, in modo autoctono! A Bruxelles, dunque, la scelta si è indirizzata nel promuovere una maggiore efficienza (a parità di prestazioni per non spaventare i votanti), un maggior uso di fonti rinnovabili (per contentare gli ambientalisti), una minore quantità di emissioni di gas ad effetto serra (non minori consumi per non toccare l’economia). Indubbiamente 20-20-20 entro l’anno 2020 è un “bello slogan” semplice ed efficace.

Cosa si intende con la definizione “usi finali”?

Le fonti primarie (carboni, petrolio greggio, gas, vento, ecc.) non sono direttamente utilizzabili dai consumatori energetici. E’ compito dell’industria energetica trasformare queste fonti in vettori energetici adatti alle richieste (benzina, gasolio, elettricità, ecc.) e distribuirli capillarmente agli utilizzatori stessi. Le industrie energetiche svolgono questo ruolo tramite le raffinerie dei petroli grezzi, le centrali di generazione elettrica dai combustibili fossili o dalle fonti rinnovabili quali idro e vento, distribuiscono questi vettori attraverso tubazioni, reti elettriche, depositi di stoccaggio annuale, ecc. I consumi di energia negli impianti di trasformazione dell’industria dell’energia e le perdite energetiche nella distribuzione dei vettori competono all’industria dell’energia, mentre i vettori distribuiti costituiscono gli usi finali degli utilizzatori energetici. Su queste basi se i consumi italiani di fonti primarie sono dell’ordine di 185-195 Mtep, gli usi energetici finali sono dell’ordine di 140 Mtep.

Le utilizzazioni finali riguardano quattro diverse tipologie di utenze, quelle delle coltivazioni agricole, le industrie manifatturiere, le utenze civili, suddivise fra le attività domestiche delle residenze e le attività di produzione dei servizi, infine le attività di trasporto. Da questo schema non sono considerate le quantità di energie inglobate nei prodotti importati né quelle ottenibili riciclando materiali a fine vita quali ad esempio i termovalorizzatori dei rifiuti urbani.
Le suddivisioni fra i vari settori costituiscono uno schema, mutuato dal tradizionale mondo dell’economia: settore primario (agricoltura e giacimenti), settore secondario (industrie) settore terziario o dei servizi (compresi i trasporti). Questo schema descrive sempre meno bene la realtà che vede una continua crescita delle attività legate alle residenze (nel passato trascurate) e ai servizi, con la separazione dei trasporti dalle altre attività di servizi alle persone e alle imprese.

Gli utenti finali utilizzano direttamente l’elettricità e i vettori termici, ma debbono nella maggior parte dei casi convertire in altre forme di energia, quali il calore per la climatizzazione o in energia meccanica, l’energia potenziale dei vari vettori (combustibili raffinati o elettricità); si hanno allora altre perdite di trasformazione presso gli utenti finali (perdite che vanno dallo 0% di una caldaia a gas a condensazione, al 75÷80% del motore di un’auto). Gli utilizzi finali sono destinati ad illuminare e condizionare edifici, a vincere attriti e resistenze passive, ad innalzare oggetti che poi ricadranno in basso e, solo in parte, alle produzioni di beni strumentali, hardware o di infrastrutture.

Ci saranno interventi regolatori sugli usi termici?

Finora gli interventi di incentivazione sulle fonti rinnovabili si sono concentrati sull’elettricità. Diverse le ragioni, di natura economica, tecnologica e sociale. I consumi elettrici sono misurati fiscalmente all’utente finale, quindi esiste una documentazione puntuale sulla base della quale definire le misure di incentivazione; i combustibili per impieghi termici, invece, sono misurati e tassati all’uscita della raffineria. Il nostro sistema statistico non si è mai occupato degli usi finali del calore; la misura del calore è più complessa e costosa della misura dell’elettricità per cui è finora poco diffusa non solo nelle forniture civili ma anche nelle reti interne delle industrie. Sostanzialmente gli usi finali del calore non sono conosciuti e non c’è un sistema informativo sul quale appoggiarsi. Relativamente all’uso delle biomasse legnose a fini di combustione, è difficile contabilizzare il consumo perché il 71% circa avviene nell’ambito domestico in una filiera di auto-approvvigionamento o in circuiti commerciali non formalizzati. Inoltre, gli usi termici civili sono fortemente tassati; per cui esiste una condizione di partenza favorevole per interventi di sostituzione con fonti rinnovabili o con calore di recupero.
Tutti questi motivi rendono molto difficile impostare incentivi generalizzati sull’uso del calore, mentre sono invece auspicati incentivi alle imprese e alle strutture di servizio secondo linee che tengano conto delle esperienze acquisite.

Che misure suggerirebbe al legislatore per promuovere e consolidare la filiera biomassa-energia?

L’Italia è impegnata verso la U.E. a coprire il 17% dei suoi usi finali d’energia attraverso fonti rinnovabili, raggiungere questo obiettivo richiederà forti cambiamenti e evoluzioni del sistema energetico.
Se si vuole attivare un cambiamento o addirittura si vuole accelerarlo occorre incentivare questa evoluzione. Gli incentivi dovrebbero essere costituiti da un mix di interventi quali:

a. modifica delle normative, delle procedure e dei regolamenti per non più penalizzare e invece favorire le fonti rinnovabili
b. finanziamenti per attività di ricerca e sviluppo per migliorare le tecnologie e ridurre i costi
c. contributi per favorire l’offerta di apparati e sistemi da parte delle industrie nazionali in modo da produrre effetti anticongiunturali
d. contributi per favorire la domanda da parte di potenziali utenti in modo che si avvii il mercato e inizi una curva di apprendimento che porti a ridurre i costi
e. creazione di una forte domanda pubblica aggregata per rompere specifiche barriere in specifiche aree geografiche e/o collegata con azioni di promozione industriale
f. indirizzo dell’attività di formazione professionale per creare disponibilità di competenze sia progettuali che esecutive.

In Italia le incentivazioni finanziarie sono evolute in questi anni da contributi in conto capitale a contributi in conto esercizio; gli incentivi si sono finora concentrate sulla produzione di elettricità per storiche carenze nazionali, c’è però una crescente presa di posizione che l’utilizzo delle biomasse per produzione di calore sia la tecnologia di maggior interesse e di maggiore potenzialità.
Una efficace politica di promozione richiede un continuo monitoraggio della situazione e reindirizzo degli incentivi seguendo l’evoluzione delle tecnologie.

Nella fase attuale di evoluzione delle tecnologie di utilizzo delle biomasse, transitorio a quella che potrebbe vedere lo sviluppo di produzione di biocombustibili di qualità con tecnologie di seconda e terza generazione, il sistema Italia può porsi due obiettivi per conciliare lo sviluppo economico del paese con gli impegni verso la U.E.:

1. utilizzare meglio, cioè a più alta efficienza e con minor emissioni, le biomasse già attualmente disponibili sul mercato, favorendo la tipizzazione dei combustibili e la qualità delle caldaie;
2.  far crescere la disponibilità sul mercato di combustibili, di qualità standardizzata, derivati da biomasse prodotte in Italia sia dal mondo agricolo sui terreni di pianura, sia dal mondo forestale nelle aree montane, in accordo con le funzioni di protezione del territorio.

L’innovazione di processo necessita inoltre di misure fiscali e finanziarie ad hoc che permettano di conseguire una sostenibilità di impresa di medio lungo periodo; in particolare suggerirei:

  • Vincolare le detrazioni fiscali alla qualità delle caldaie riguardo efficienza ed emissioni;
  • Supportare i progetti di teleriscaldamento a biomassa nelle aree vocate mediante mutui a lunga scadenza (15-20 anni) e fondi di garanzia;
  • Riorientare il meccanismo dei certificati bianchi; 
  • Eliminare l’IVA dalle biomasse del territorio per favorire l’uscita dal mercato non formalizzato;
  • Istituire fondi di garanzia per la forestazione rapida che garantisca il reddito annuale agli agricoltori.

 

Per gentile concessione della FIPER (Federazione Italiana Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili)  che ha curato e pubblicato l’intervista

Fiper, la Federazione Italiana di Produttori fa Fonte Rinnovabile è l’Associazione che riunisce i produttori di energia termica ed elettrica derivante dalla trasformazione delle biomasse legnose e, da settembre 2009, anche i produttori di biogas derivante dalla biomassa di origine animale e vegetale.
I soci aderenti alla Fiper sono piccole e medie aziende energetiche, agricole, private e municipalizzate che producono e distribuiscono il calore e l’acqua igienico-sanitaria attraverso reti di teleriscaldamento o producono energia elettrica dal biogas di origine agricola.
Fiper promuove la filiera legno-energia in ambito nazionale ed internazionale, consapevole del ruolo economico ed ambientale che questo approccio ricopre nei territori montani e agricoli.

Per informazioni: FIPER

19 febbraio 2010

 

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