L’innovazione solare nel cuore dell’Italia

Parte in Umbria la costruzione dello stabilimento di Archimede Solar Energy per la produzione di tubi ricevitori per il solare termodinamico. Il progetto è il cardine di un polo regionale per l'innovazione nel settore delle rinnovabili. Ne parliamo con l'amministratore della società, Gianluigi Angelantoni.

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Con la partenza della costruzione del nuovo stabilimento di Archimede Solar Energy, società del Gruppo Angelantoni Industrie, per la produzione di tubi ricevitori per il solare termodinamico, l’Umbria punta diventare un polo di eccellenza per l’innovazione nel settore delle rinnovabili. Lo sarà anche grazie al fatto che intorno alla produzione di questi componenti, realizzati su tecnologia Enea per l’utilizzo di sali fusi come termovettore, verranno attivate altre iniziative industriali e di ricerca nel settore delle rinnovabili. Di questo parliamo con l’ingegner Gianluigi Angelantoni, amministratore delegato del gruppo e vicepresidente dell’associazione di categoria del settore solare termodinamico ANEST, nonché vice presidente del Kyoto Club.

Ingegner Angelantoni, quando entrerà in funzione lo stabilimento Archimede Solar Energy e con quale capacità produttiva?
Lo stabilimento che sorgerà a Massa Martana (PG) sarà operativo all’inizio del 2011 e partirà con una capacità produttiva annua di 75.000 tubi per passare, alla fine del 2012, a 140.000 tubi/anno che equivarrebbero ad impianti solari a concentrazione per circa 280 MW elettrici. L’investimento del Gruppo per questo progetto imprenditoriale è di 30 milioni di euro con finanziamento proprio di Archimede Solar Energy e con la presenza di Siemens nel capitale della società per una quota del 28%. La produzione è rivolta principalmente al mercato spagnolo. In Spagna un regio decreto del 13 novembre del 2009 infatti ha dato l’autorizzazione, per il periodo 2011-2013, a realizzare impianti solari termodinamici per 2.440 MW, anche se non tutti con concentratori a specchi parabolici. Poi prevediamo l’esportazione verso mercati in espansione come quelli statunitense, nord africani e medio-orientali.

Che spazio si ritaglierà Archimede Solar Energy nel mega progetto Desertec che prevede di fornire all’Europa il 15% dell’elettricità consumata al 2050?
Come detto, uno dei mercati principali sarà quello nella sponda sud del mediterraneo e per il medio oriente proprio in vista degli sviluppi connessi al progetto Desertec. La nostra società non è direttamente presente nel progetto, anche per una scelta fatta con Siemens che oltre ad essere uno dei soggetti attuatori dell’iniziativa, è anche uno dei motori principali della società di scopo fondata a luglio a Monco di Baviera. Però possiamo dire, in effetti, che siamo in questo grande progetto attraverso il nostro socio Siemens.

Oltre all’eolico e al fotovoltaico, nel progetto Desertec sono previste diverse opzioni tecnologiche per il solare termodinamico.
Nell’ambito delle tecnologie solari termodinamiche completano il panorama, oltre che i concentratori parabolici lineari che utilizzano i tubi ricevitori che noi produciamo, anche gli impianti a torre e la tecnologia Fresnel con specchi piani; anche quest’ultima utilizza tubi come quelli da noi prodotti. All’interno delle tecnologie dei concentratori lineari e di quella a specchi potrà poi essere utilizzato un fluido termovettore differente: olio diatermico o sali fusi. Ma stiamo anche seguendo con attenzione la soluzione DSG (direct steam generation), cioè quella che comporta la presenza di tubi ricevitori con acqua che vaporizza e quindi non prevede nessuno scambiatore intermedio: è il vapore generato nei tubi che va ad alimentare le turbine. Inoltre si sta studiando la possibilità di usare gas compressi, come la CO2, un ottimo gas vettore capace di trasportare calore. E infine c’è un progetto sul quale sta lavorando il professor Rubbia che prevede di utilizzare solamente aria: questa scaldandosi potrebbe attivare una speciale turbina con il vantaggio di fare a meno dell’acqua, una risorsa scarsissima nelle aree desertiche.

L’esperienza del Gruppo Angelantoni su questo terreno è, come si usa dire, “buona pratica”, in un paese che nel campo della ricerca e dell’innovazione rischia un declino irreversibile. Ma la politica industriale italiana sembra non comprendere la necessità di un sostegno in questa direzione.
Quando ho citato i diversi mercati di sbocco della nostra produzione non ho fatto riferimento all’Italia. Se pensiamo alla mozione di luglio del Senato (mozione del Popolo della Libertà che giudica la tecnologia “dalle incerte potenzialità” e propone di destinare piuttosto risorse allo sviluppo di altre fonti rinnovabili, ndr) aveva una logica iniziale e cioè che l’Italia non ha grandi spazi per accogliere numerosi impianti di questo tipo. Però è stata sottovalutata la possibilità di avere anche solo 5 o 10 centrali sul nostro territorio, che certo non avrebbero potuto risolvere i problemi energetici del paese, ma sarebbero serviti come “palestra” per acquisire esperienze tali da poter competere sui grandi progetti internazionali, soprattutto con una filiera tutta italiana che si è recentemente formata nel termodinamico.

Anche dal lato della ricerca e dell’innovazione nel settore delle tecnologie verdi si fa poco nel nostro paese. Cosa ne pensa?
E’vero, anche se dal punto di vista della ricerca noi non ci sentiamo una mosca bianca, visto che esistono molte iniziative interessanti. Penso comunque che l’Italia per competere sui mercati mondiali debba creare nuovi prodotti e non solo innovazione di processo. Un tempo si svalutava la lira per essere concorrenziali, oggi questo non è più possibile e quindi bisogna creare valore aggiunto nei nostri prodotti attraverso un’innovazione che può essere incrementale, ma meglio se è di tipo radicale, un vero e proprio breaktrough tecnologico, che porta l’azienda a primeggiare, almeno per un po’ di tempo, a livello mondiale, evitando solo di inseguire gli altri. Ciò permette di avere dei margini interessanti che ripaghino ampiamente investimenti e ricerca. Ritengo che molti imprenditori la pensino in questo modo, ma spesso mancano le strutture sulle quali appoggiarsi e la ricerca universitaria, dove spesso ci sono eccellenti ricercatori ma che non dispongono di mezzi sufficienti. Devo però dire che lavorando con l’Enea e con molti centri di ricerca universitari ho scoperto che ci sono tante esperienze interessanti anche per le possibili ricadute industriali che ne potrebbero scaturire. Purtroppo non ne siamo informati. E’ per questo che vanno pensati meccanismi capaci di collegare e trasferire le conoscenze verso le imprese.

Il programma Industria 2015, ad esempio, aveva questa filosofia e questo modus operandi?
Sì, però è triste dover ricordare che nella sua fase iniziale il programma del Ministero dello Sviluppo Economico si era arenato, per poi riprendere faticosamente, a causa della mancanza di fondi. Quei 300 milioni che erano stati destinati al programma sono andati al salvataggio dell’Alitalia e non sono più tornati.

Archimede Solar Energy sarà il fulcro di un polo industriale umbro sulle rinnovabili?
In Umbria si sta cercando di creare dei distretti di innovazione e uno di questi sarà proprio sulle energie rinnovabili e l’efficienza energetica che avrà come pilastro il polo in cui è presente Archimede Solar Energy. Un altro polo dovrebbe nascere a Pietrafitta, a 20 km da Perugia, dove esiste una centrale Enel a turbogas e dove c’era una vecchia centrale che utilizzava la lignite presente nella zona, in seguito alimentata ad olio, e oggi abbandonata. La Regione sta cercando di recuperarla oltre che da un punto di vista architettonico anche per farne un centro per le energie rinnovabili. Questi saranno due pilastri sui quali articolare la ricerca e l’industria nelle energie pulite in Umbria. Il polo di Massa Martana, oltre allo stabilimento Archimede Solar Energy, vedrà la presenza di una centrale sperimentale solare di circa 350 kW, piccola, ma completa e autonoma. Nei pressi sorgerà anche una centrale cogenerativa a biomasse di Acea con una potenza di circa 5 MW; a fianco dell’impianto ci sarà la produzione di una sorta di “cialde” realizzate con legno vergine recuperato attraverso un accordo tra i produttori agricoli di alcuni comuni della zona; una parte dovrà andare ad alimentare la centrale a biomasse, un’altra sarà venduta a terzi.

QualEnergia e Kyoto Club seguiranno con attenzione l’evolversi di questa iniziativa nella speranza che sia un esempio replicabile anche in altre parti del paese, dove sappiamo che molte vecchie infrastrutture industriali rischiano di restare dimenticate e solo memoria del passato di un paese che non riesce più a guardare al futuro e all’innovazione.

intervista a cura di Leonardo Berlen

 

28 gennaio 2010

 

 

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