Se le multinazionali chiedono all’Ue di alzare il tiro

Mentre mancano pochi giorni alla decisione ufficiale, 18 tra le maggiori multinazionali europee chiedono all'Europa di innalzare al 30% l'impegno di riduzione delle emissioni al 2020 . Ma pare che l'Unione, nonostante la spinta di membri importanti, resterà al 20%, come vogliono Italia, Polonia e parte dell'industria, Confindustria inclusa.

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Anche le grandi multinazionali chiedono che l’Europa prenda l’iniziativa impegnandosi a tagliare entro il 2020 del 30% le emissioni anziché del 20%. Mentre mancano pochi giorni all’annuncio ufficiale dell’impegno internazionale sul clima (il 31 gennaio) e l’Europa, come vorrebbero parte dell’industria e paesi come Italia e Polonia, pare poco propensa a metter sul tavolo l’obiettivo più ambizioso, ecco che a chiedere più coraggio scende in campo proprio il mondo del business e cioè 18 tra le più grandi società del continente.

A lanciare l’appello in una lettera aperta al presidente della Commissione (vedi allegato), il Corporate Leaders Group on Climate Change che, guidato dal principe di Galles, riunisce i vertici di aziende del calibro di Deutsche Telekom, Philips, Unilever, Tesco, Kingfisher, Telecom, Shell e Barilla. Nonostante il sostanziale fallimento della Cop 15 che “non ha dato una spinta decisa verso il low-carbon né garantito la sicurezza degli investimenti necessaria” – questo il messaggio – è ancora nell’interesse economico dell’Europa puntare ad un’azione decisa contro i cambiamenti climatici.

Dunque – chiariscono le aziende – “serve un obiettivo di riduzione delle emissioni a breve termine del 30% al 2020” (mitigando però la richiesta con l’aggiunte delle parole “in combinazione con impegni simili da parte di altri paesi sviluppati”). Ma soprattutto – raccomandano le 18 compagnie – occorre utilizzare  un “approccio basato su un mercato delle emissioni con un solido prezzo della CO2 e un robusto ETS europeo” (che includa però, si specifica, “regole per prevenire il carbon leakage”: cioè che abbia quegli sconti per i settori energivori che, abbiamo visto, stanno indebolendo alquanto l’Ets europeo – Qualenergia.it – I subprime delle emissioni che non aiutano il clima).

Obiettivi ambiziosi abbinati ad investimenti nella green economy : “Senza una leadership insisitita l’Ue potrebbe vedersi lasciata indietro nella corsa per le tecnologia pulite, mentre sappiamo che Usa, Cina e altre economie emergenti stanno già facendo grandi investimenti nel settore”, continua la lettera che plaude alle politiche europee di sostegno alla green economy e chiede che continuino.

Quindi, una parte del business europeo pare rendersi conto sempre di più dell’opportunità economica di agire prima e più degli altri nella lotta al global warming. Però si tratta solo una parte: è di pochi giorni fa un’altra lettera ai vertici dell’Ue di una grossa coalizione di industrie europee che invece,  al contrario, chiede che l’Europa non innalzi unilateralmente l’obiettivo e si mantenga sul  20% al 2020. Portarlo al 30% senza previi impegni analoghi di altre economie forti – scrive la Alliance for a competitive european industry, cui aderisce anche la nostra Confindustria – potrebbe causare “carbon leakage”, ossia la fuga delle industrie più energivore.

E sembra proprio che l’Europa seguirà il consiglio dell’industria più timorosa. Nonostante la pressione di paesi come Germania, Spagna, Gran Bretagna, Francia e Belgio affinchè l’Unione innalzi unilateralmente al  30% l’obiettivo di riduzione per il 2020, pare infatti stia prevalendo la posizione di quanti vogliono restare ancorati all’impegno più modesto: assieme alla Polonia (nazione carbone-dipendente) e ad altri paesi dell’est, anche l’Italia, il cui ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, ancora una volta in sintonia con quanto sostenuto da Confindustria, ha definito la proposta di innalzare l’obiettivo al 30% “assolutamente non realistica”.

GM

27 gennaio 2010

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