Il grande piano britannico per l’eolico off-shore

La Gran Bretagna punta decisamente sull'eolico off-shore: 100 miliardi di sterline di investimento per avere oltre 25 GW al 2020 e soddisfare col vento un terzo del fabbisogno elettrico. Un piano ambizioso che ha senso soprattutto se abbinato a una super-rete internazionale, cui i paesi attorno al Mare del Nord stanno lavorando.

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Sarà il piano di eolico off-shore più ambizioso al mondo: 100 miliardi di sterline (cioè circa 110 miliardi di euro) di investimenti per arrivare nel 2020 ad avere più di 25 GW, cioè 25 volte la potenza da off-shore installata attualmente in tutto il pianeta. La Gran Bretagna presenta il suo grande balzo in avanti nell’eolico in mare: atteso in settimana l’annuncio dei vincitori delle  concessioni per i parchi in progetto, un totale di 1.200 turbine da realizzare nei prossimi 12 anni.
Il vento del mare sarà dunque la colonna portante del futuro low-carbon britannico: dovrà garantire circa un terzo del fabbisogno elettrico al 2020. Una scelta coerente con le prime mosse  fatte dal paese assieme agli altri del Mare del Nord per creare nel prossimo decennio una super-rete intelligente capace di coordinare e distribuire l’energia da quelle fonti pulite più disponibili nel Nord Europa.

Nove le zone previste dal piano di eolico off-shore inglese, principalmente nelle acque del Mare del Nord. Vi verranno realizzati parchi di dimensioni mai viste prima: basti pensare che il più grande, quello che si vorrebbe impiantare a Dogger Bank, 100 km al largo della costa a nord-est, conterebbe 10 GW installati, cioè 10 volte la potenza da eolico off-shore installata attualmente in tutto il mondo.

Un altro parco, quello di Norfolk, invece arriverà a 5 GW. Tra i vincitori delle concessioni, ancora non ufficiali, ma già svelati dal Times, grandi utility inglesi e scozzesi, ma anche compagnie a partecipazione statale svedesi e norvegesi.
Interessante è ricordare qui anche il rapporto “Zerocarbonbritain” del 2007 che illustra la visione del futuro energetico del Regno Unito, dove l’eolico offshore ha un ruolo determinante per tagliare le emissioni del paese.
 

Ma quella proposta in questi giorni è un’impresa veramente titanica che secondo l’associazione dell’eolico britannico, BWEA, dovrebbe portare 60mila posti di lavoro, anche se – a differenza di quanto previsto da altri piani nazionali, come quello cinese – in quello britannico nell’assegnare le concessioni non è prevista la clausola che si usi una certa quota di componenti prodotte in patria. Si tratta di un progetto che non sarà semplice da realizzare: l’eolico offshore è una fonte con grandissime potenzialità (per Europa si parla di 150 GW al 2030, Qualenergia.it “Il vento oltre Copenhagen”), ma anche con costi e difficoltà tecniche molto rilevanti: dalle problematiche nell’installazione e nella manutenzione alle infrastrutture necessarie per connettere gli impianti alla terraferma.

Così, se l’inizio dei lavori per i parchi britannici è stimato per il 2015, sono molti i dubbi che si completino, come da programma, entro il 2020. La storia recente dell’eolico off-shore abbonda infatti di progetti rimandati di anni per difficoltà a reperire i finanziamenti. L’ultimo caso il parco del London Array che ha visto di recente ritirarsi diversi investitori. Non a caso la lobby dell’eolico inglese si sta già adoperando affinché i generosi sussidi previsti dal governo di Londra per i parchi off-shore in funzione entro il 2014 vengano estesi anche a quelli che saranno pronti diversi anni dopo.

Altra obiezione all’ambizioso piano è quella sull’opportunità di puntare su una fonte aleatoria e discontinua come l’eolico. Una scommessa che acquista però più senso se inquadrata nella visione energetica che l’Europa e, in particolare,  i paesi del Mare del Nord hanno per il futuro prossimo: quella di una rete elettrica intelligente transazionale che permetta di coordinare la produzione ottimizzando le fonti rinnovabili del continente. Un’infrastruttura che permetterebbe ad esempio di trasmettere l’energia eolica in eccesso prodotta in Scozia nei giorni ventosi fino alle industrie tedesche o addirittura usarla per pompare in salita acqua nei bacini idroelettrici scandinavi, che così diventerebbero una sorta di batteria continentale (l’accumulo di potenza è stimato in 30 GW).

Un passo avanti verso questa rete si farà questo mese con un primo accordo tra 9 paesi del Mare del Nord: oltre a Regno Unito e Irlanda, anche Germania, Francia, Belgio, Olanda, Francia, Lussemburgo, Svezia e Danimarca. Entro il prossimo autunno il piano verrà definito per arrivare all’inizio dei lavori entro il decennio.

Saranno decine di migliaia i chilometri di cavi sottomarini da posare, mentre i costi si aggirerebbero attorno ai 30 miliardi di euro (stime EWEA, mentre Greenpeace parla di 15-20 miliardi). Una infrastruttura che andrebbe poi integrata alle altre super-reti di cui si parla in questo periodo, come quella per portare in Europa l’energia elettrica dall’Africa con il solare a concentrazione grazie al progetto Desertec (Qualenergia.it – “Desertec, l’elettricità solare in Europa già dal 2015?”).
Progetti ancora in fase embrionale e realizzabili solo sul medio e lungo termine, ma indispensabili per raggiungere gli obiettivi su rinnovabili ed emissioni se non per il 2020 almeno per la fine del decennio successivo. 
 
GM
 
 
5 gennaio 2010
 
 
 
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