Ma andiamo con ordine. Degli impegni delle due superpotenze che assieme emettono il 40% dei gas serra mondiali, Usa e Cina, abbiamo già accennato nell’introduzione dell’intervista a Sergio Castellari, nella quale il climatologo e Focal Point nazionale IPCC ci spiega cosa ci si può aspettare dal vertice (Qualenergia.it “Copenhagen, scenari negoziali e climatici“): mercoledì scorso Obama ha annunciato che gli Stati Uniti sono disposti a un taglio della CO2 del 17% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020 (cioè -3% rispetto al 1990), del 30% al 2025, del 42% al 2030, fino ad arrivare all’83% (sempre rispetto ai livelli del 2005) entro il 2050. Obiettivi “provvisori”, perché subordinati a quello che deciderà in seguito il Senato americano, molto meno proattivo del Presidente sulla questione clima. A seguire, giovedì, anche la Cina ha dichiarato il suo impegno: ridurre la propria intensità energetica (cioè la quantità di energia – e dunque di CO2 – per unità di prodotto interno lordo) del 40-45% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020.
Oggi la Reuter diffonde i contenuti della bozza di accordo preparata dal governo danese (domani la pubblicazione ufficiale); quella che sarà la base di partenza dei negoziati: vi sarebbe scritto che il mondo deve ridurre le emissioni – che dovrebbero raggiungere il picco al 2020 per poi scendere – del 50% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050, con i paesi ricchi che le tagliano per quella data dell’80%. Nulla di nuovo. Un documento infatti in linea con quanto raccomanda l’IPCC indebolito però da un punto fondamentale: non vi si accenna a obiettivi intermedi di riduzione per i paesi ricchi. Anche per questo la bozza danese non piace ai paesi emergenti, Brasile, Sud Africa, India e Cina, che domani presenteranno la loro controproposta, di cui per ora si sa solo che ribadisce l’inaccettabilità di obiettivi vincolanti per i paesi poveri, come anche di verifiche internazionali sui risultati di azioni di mitigazione che non siano finanziate dai paesi rischi.
Intanto anche sull’altro punto dolente dei rapporti tra nazioni industrializzate e Pvs arrivano notizie poco confortanti: secondo quanto rivela il Guardian (che ha avuto accesso a documenti riservati), l’Europa sulla questione dei finanziamenti per adattamento mitigazione in favore dei paesi in via di sviluppo si starebbe attestando su una posizione che bloccherebbe il dialogo.
GM